Al TOMAV Luca Moscariello. Trompe-l’oeil. Dove il reale si crepa.
Posted byBarbara Caterbetti 4 Settembre 2024
Luca Moscariello, artista emiliano, classe 1980, ci pone davanti a un’apertura, ci obbliga a considerare ciò che sfugge al controllo della ragione e a confrontarci con l’incertezza e l’ambiguità, ci incita a sostare entro la sofferenza, nella frattura interna all’esserci, nella ferita ove restare in distensione e in lentezza. Occorre aspettare, in silenzio e, così, quando il reale si crepa, si potrebbe finalmente sentire il dolore con tutto il suo fracasso e in questo fracasso lo si sentirà andar via.
Il Tomav (Torre Moresco di arti visive), in provincia di Fermo, ospita la mostra, curata da Antonello Tolve, dove è possibile ammirare, fino al 15 settembre, le 14 opere di Moscariello, che si dipanano tra i quattro piani della torre medievale, evocando un percorso di trasmutazione alchemica.
Panorama dalla Torre di Moresco. Ph. B. Caterbetti
Con i suoi 25 metri di altezza, la torre sorge fiera all’ingresso del borgo, un eptagono scolpito nel cielo che si innalza come un’antica sentinella di pietra, puntando con determinazione verso l’alto, come se volesse dialogare con le nuvole.
La torre, simbolo di resistenza, di bellezza e di mistero, diventa un faro animatore delle arti visive contemporanee, sotto la guida del direttore Andrea Giusti, promotore di un approccio curatoriale che integra ricerca, sperimentazione e dialogo, favorendo la creazione di progetti che riflettono le dinamiche contemporanee e stimolano una riflessione critica tra il pubblico e le opere.
Il viaggio ascensionale, alla scoperta dei quadri di Luca Moscariello, fa parte di un continuum tematico che ha visto sviluppare i concetti di vuoto, di pausa, di spazio, di silenzio, affrontati in precedenza con le personali dedicate a Marco Cingolani, ai Minus.Iog e a Pierpaolo Curti.
La scelta installativa, come riferisce il direttore creativo, concepisce l’architettura come uno spartito musicale, dove ciò che è statico si traduce in movimento, in cui l’ornamento porta con sé un paradosso originario che viene dalla musica. L’allestimento investe tutto l’insieme, come nelle composizioni di Johann Sebastian Bach, celebre per la sua maestria nell’uso del contrappunto, dove linee melodiche indipendenti si intrecciano, creando un senso di flusso continuo.
Attraverso la struttura della torre, Luca Moscariello traduce la sua ricerca di empatia in un’esperienza intimistica e fisica, proponendoci un percorso di sublimazione dal Nigredo verso La pietra filosofale, simbolo per eccellenza dell’Alchimia, la disciplina dell’essenza, quell’arte di sondare la materia sin nel suo midollo, per scoprire ciò che ai nostri sensi non appare, attraverso la paziente pratica quotidiana di meditazione degli alchimisti, che recitano: “Prega, leggi, leggi, leggi, rileggi, lavora e troverai”.
La salita verso la vetta è un cammino iniziatico, un viaggio dall’oscurità alla luce: il piano terra rialzato, denso di ombre, ospita Domani della luce e Fiori del fango. Lì abita il Nigredo, la fase dell’oscurità primordiale, quando tutto è avvolto in una coltre di nero velluto, il luogo dove l’anima si smembra e si dissolve nel caos. È il regno della decomposizione, dove ogni cosa perde forma, si disfa e si mescola nel crogiolo dell’esistenza, preparando il terreno per la rinascita.
Proseguendo oltre, l’oscurità si dirada mentre si sale al primo piano. Entrando nell’Albedo, Abbandono del fragore n. 1 e n.2 e Puzzle n.39 e n.38 riflettono il bagliore della verità nella quiete e nella contemplazione in preparazione per il prossimo passo dell’ascesa.
Il secondo piano è il dominio del Citrinitas, dove il primo bagliore dell’alba tinge ogni cosa di un oro pallido. È il momento in cui il sole inizia a sorgere nel cuore dell’adepto, tingendo i muri di calde sfumature dorate con In girum imus nocte, Et consumimur igniì e Gemma.
L’ultimo piano, il Rubedo, è un’esplosione di fuoco e di sangue. Il sole è ormai alto e le pareti della torre risplendono pulsanti di vita con Gemma e Shangri la, segnando il compimento, la fusione alchemica in cui il fuoco trasforma il grezzo in oro puro. L’anima, dopo essere passata attraverso la morte e la rinascita, ora si infiamma di passione e potenza. Qui si forgia la Pietra Filosofale, il simbolo dell’eterna trasmutazione, della perfezione raggiunta.
E così, da un oscuro ingresso, attraverso piani di purificazione, illuminazione e infine trasfigurazione, che l’artista ci invita a un’esperienza sinestetica e a rompere lo schema mentale logico-razionale.
Nelle sue opere impiega un processo meticoloso di stratificazione e di proliferazione di superfici che sembrano fondersi e sovrapporsi, creando una texture visiva densa ed elusiva.
L’interruzione, la discontinuità, le fratture, le rotture fanno intravedere universi “eterotopici”, prendendo in prestito il termine di Michel Foucault per descrivere spazi di alterità che non sono né qui né lì, ma da qualche parte nel mezzo.
I dipinti esposti, quindi, hanno un intento narrativo, sono esche offerte al fruitore tentato di cedere all’inganno di poterne afferrare i lembi rialzati, di poterli scollare, di poter far crollare con un tocco l’architettura fragile, in bilico, per accedere oltre, in un luogo dove il flusso usuale del tempo è interrotto o congelato.
Il lavoro dell’artista è caratterizzato da un’esplorazione profonda delle intersezioni tra visibilità, memoria e natura della percezione ed è fortemente influenzato da teorie filosofiche e concettuali, in particolare quelle legate alla decostruzione e alla semiotica delle immagini, che si manifestano nella complessità e nella profondità delle sue composizioni.
Ispirato dal pensiero illuminante di Georges Didi-Huberman, Luca Moscariello vuole generare la tensione tra ciò che è visibile e ciò che è celato: l’opera d’arte stessa diventa, così, un complesso sistema di nascondimento e di rivelazione, un’interazione dinamica tra presenza e assenza, sfidando l’osservatore a discernere le strutture sottostanti alla superficie.
Appare chiaro, se ci si concede il tempo di scrutare, che per assenza non si intende mancanza, percepita come la sensazione di qualcosa di posseduto e poi perso. L’assenza è, infatti, discontinuità, manifestazione screziata tra esserci in modo manifesto ed esserci senza necessità di manifestarsi.
In Se una notte d’inverno un viaggiatore, a esempio, Italo Calvino gioca con l’idea di frammenti di storie, mostrando come ogni racconto, anche se incompleto, possa offrire una finestra su un mondo complesso e sfaccettato. Questo può essere visto come una metafora dell’arte in generale, dove il valore di un’opera risiede non solo nella sua completezza ma anche nelle sue aperture, nelle sue lacune e nelle interpretazioni che queste stimolano.
Per l’artista il proprio lavoro non è un’esperienza concettuale, che mira a conoscere il mondo, ma un’esperienza che mira a sentire il mondo, pensiero debitore allo storico dell’arte tedesco Wilhelm Worringer, che affermava:
“Godere esteticamente significa godere di noi stessi in un oggetto sensibile diverso da noi, immedesimandoci in esso”.
Il pittore dichiara che la sua opera è guidata da un profondo “ascolto della visione”, un concetto che eleva il dialogo tra l’occhio e l’anima a una pratica simile a quella musicale. Le sue creazioni non sono statiche ma dinamiche e “ascoltarle” richiede la volontà di navigare attraverso le loro complessità e i loro effetti sulle nostre percezioni ed emozioni.
Ascoltare, oggi, sembra arduo, se pensiamo all’uomo contemporaneo pervaso dall’eccesso di coscienza che solo e intollerante presume di vivere. “Vi giuro, signori, che l’esser troppo consapevoli è una malattia, un’autentica, assoluta malattia”, scrive Fëdor Dostoevskij in Memorie dal sottosuolo. L’uomo del sottosuolo è un uomo malato di consapevolezza e, a suo dire, il sintomo più evidente di questa malattia è l’inettitudine.
Probabilmente Luca Moscariello ci mostra dove trovare l’anti-hybris, ciò che ci permette di lasciar andare e di sviluppare la nostra intuizione evitando la tracotanza dell’eccesso di coscienza, stoppando la ragione e amplificando i sensi per dialogare onestamente con noi stessi e guardare oltre le apparenze.
Non a caso ricorre spesso al quadrato, che, con la sua forma geometrica rigorosa e i suoi angoli retti, evoca l’idea di una struttura che delimita uno spazio preciso e definito, una cornice che orienta senza costringere. Esso stabilisce un ordine nel caos, una base solida dalla quale il pensiero può espandersi e trascendere, divenendo metafora di un equilibrio dinamico, della giusta misura o mesòtes dei Greci.
Info mostra Luca Moscariello. Personale
A cura di Antonello Tolve