Colette
di Marie-Claude Martin
Pioniera dell’autofinzione, più queer che femminista, Colette curava la sua immagine come una rockstar e nutriva una sincera passione per gli animali. Tutti aspetti che la rendono incredibilmente moderna. La ricordiamo a 150 anni dalla sua nascita.
Donna poliedrica, Gabrielle Sidonie Colette (28 gennaio 1873 – 3 agosto 1954) è oggetto di un biopic firmato Wash Westmoreland, con Keira Knightley nei panni della protagonista. Il film, uscito nelle sale cinematografiche nel 2018, si concentra sui suoi anni di apprendistato, quando la giovane Gabrielle cerca di emanciparsi dal marito Willy, che si appropria e firma il ciclo di romanzi “Claudine” da lei scritto.
L’infanzia felice di Colette con Sido
Grazie all’educazione liberale e al contempo letteraria, Gabrielle Sidonie Colette, seconda donna membro dell’Académie Goncourt, gode di un’infanzia serena. Il padre, Jules-Joseph Colette, ex studente dell’accademia militare di Saint-Cyr e zuavo che ha perso una gamba in seguito a un incidente occorso durante la battaglia di Melegnano, è un “poeta urbano”. La madre, Sidonie Landoy, che durante la sua giovinezza a Bruxelles era entrata in contatto con scrittori e pittori, è una donna colta, laica e amante della natura. Unico tabù nella famiglia: i libri per bambini. Non sorprende dunque che a 7 anni Gabrielle abbia già letto Labiche e a 12 conosca già gran parte dell’opera di Balzac.
“Bellezza, gioiello d’oro”, “Tesorino mio” o “Capolavoro”: così la madre Sido si rivolge alla sua amata bambina, ultima di quattro figli. Il rapporto con la tanto amorevole quanto possessiva madre non è esente da ambivalenze. Sido parla spesso dell’aria tonta della figlia e preferisce occuparsi della rara fioritura di un cactus anziché farle visita. Da parte sua, Colette dirà in varie occasioni che la madre, descritta come autoritaria, non ha mai creduto in lei. Ma la loro corrispondenza sembra provare esattamente il contrario.
Colette non sarà al capezzale della madre e non andrà neanche al suo funerale nel 1912, comportamenti che i suoi biografi non riescono veramente a spiegare. Ma Colette deve proprio a questa donna che sa parlare agli animali e alle piante il suo amore quasi fusionale per la natura e il suo senso innato di libertà. Il tempo e il ricordo trasformeranno il personaggio di Sido in forza vitale e tellurica, come una costante fonte d’ispirazione. Sono molteplici, infatti, i libri a lei dedicati.
L’infanzia di Colette si interrompe quando la famiglia, in rovina, è costretta a lasciare la casa di Saint-Sauveur-en-Puisaye, nella Yonne. È solo l’inizio di una lunga serie di spostamenti, sia in città che in campagna. La maggior parte dei luoghi in cui Colette ha vissuto sarà oggetto del libro “La nascita del giorno”, in particolare Saint-Tropez, un villaggio che scopre molto prima di Brigitte Bardot e che lascerà a causa di un turismo troppo invadente.
Willy o l’inizio dell’emancipazione
Nel 1898 Colette ha delle trecce che le arrivano al fondoschiena. “Hai dei capelli fenomenali” le dice Henry Gauthier-Villars, soprannominato Willy, influente critico musicale e autore popolare di successo grazie alla squadra di collaboratori che scrive per lui. Lo sposerà l’anno successivo. Lei ha 20 anni e lui 14 in più. È consuetudine fare il processo a Willy, seduttore compulsivo, marito tirannico e usurpatore. Il film di Wash Westmoreland è più articolato e mostra bene l’interdipendenza della coppia, ovvero quanto Willy e Gabrielle – che non si chiama ancora Colette – hanno bisogno l’uno dell’altra.
Willy, editore di professione, capisce il talento della moglie, la sprona a scrivere e addirittura la chiude a volte in camera sua per farla lavorare più alacremente. Corregge i suoi manoscritti e le dà alcuni saggi consigli, come quello di abolire gli aggettivi. E soprattutto la fa entrare nei salotti letterari e musicali parigini. Grazie a lui, Gabrielle incontra l’élite degli artisti dell’epoca, tra cui Ravel, per il quale scriverà il libretto de “L’Enfant et les sortilèges”.
La relazione è impari. Willy firma tutta la serie di “Claudine” a proprio nome. Come può Colette, educata all’idea di essere libera, sopportare questo trattamento? Perché non lo ha lasciato prima? Pronunciando le “r” come vuole il suo accento borgognone, Colette risponde ai microfoni di France Culture nel 1953:
“Non volevo assolutamente che mia madre scoprisse che non ero felice. E c’erano i bisogni materiali: non avevo un soldo e la mia famiglia non se la passava meglio… quindi sono rimasta. Bisogna fare il pane con la farina che si ha”.
“È il mio corpo che pensa. Il mio corpo è più intelligente del mio cervello. Tutta la mia pelle ha un’anima”.
“Sono figlia di una donna che in un piccolo borgo gretto, avaro e chiuso aprì la sua dimora di paese ai gatti randagi, ai vagabondi e alle serve incinte”.
Forte del sostegno amoroso e finanziario di Mathilde de Morny, detta Missy, icona affascinante e transgender della Belle Epoque, Colette si separa da Willy nel 1906 e divorzia nel 1910. Per questo primo marito, che l’ha soggiogata anche se l’ha aiutata a fiorire, proverà un odio feroce. Del resto, nel 1909 Willy vende i diritti del ciclo di “Claudine” e de “L’ingenua libertina”.Quando si tratta di soldi, Colette non perdona niente.
Colette, regina della cultura pop
Per lungo tempo i romanzi di “Claudine” (Claudine a scuola, Claudine a Parigi, Claudine sposata, Claudine se ne va) portano solo la firma di Willy, poi di Colette e Willy e infine solo di Colette. È con “La vagabonda” che Colette impone finalmente il suo cognome, nel 1910.
All’epoca, la serie di “Claudine” fu un vero fenomeno editoriale. Le avventure dell’adolescente maliziosa, diventata sposa e poi moglie emancipata, ispirano tutte le donne dell’epoca. Ci si veste come Claudine, ci si pettina come Claudine, si mangia come Claudine. Dominic West, l’attore che recita il ruolo di Willy in “Colette”, ha dichiarato a “Harper’s Bazaar” che lui e Keira Knightley si sono ispirati a Kim Kardashian e Kanye West per riprodurre ciò che il duo Willy-Colette rappresentava nella Belle Époque. La coppia ostentò la propria vita privata come nessun’altra e non esitò a declinare prima del tempo il proprio successo editoriale in prodotti derivati: saponi, colletti di camicie, profumi, oggetti di cartoleria o biancheria per la casa. Negli anni ’30, Colette aprirà persino un istituto di bellezza, producendo lei stessa i prodotti in vendita.
Con il personaggio di Claudine, Colette – che come la sua eroina si tagliò i capelli – diventò ciò che oggi chiameremmo una “influencer”. Donna pragmatica, seppe trarre profitto dalla sua notorietà. La sua indifferenza allo scandalo e la sua capacità di sfruttarlo a proprio vantaggio si riveleranno delle armi straordinarie.
Tra il 1906 e il 1912, Colette si lancia con successo nel music-hall. Frequenta dei corsi con l’attore e mimo George Wague e nel giro di qualche settimana diventa una vedette della pantomima. Osa tutto, è provocante e spesso svestita. È una pioniera della cultura pop. Curerà la sua immagine fino alla fine quando, ormai ottuagenaria, costretta a letto dalla poliartrite, accetterà non senza civetteria di essere filmata dalla telecamera di Yannick Bellon.
Da giovane, Colette era molto bella; da anziana signora, con il suo sguardo penetrante, la sua bocca “a cappello di gendarme”, come diceva Cocteau, e i suoi capelli arruffati, è irresistibile.
Colette, pioniera dell’autofinzione
“Bisogna, con le parole di tutti, scrivere come nessuno”. Lo stile di Colette è un connubio di raffinatezza letteraria e rusticità: frasi dense e ben scritte, descrizioni precise e talvolta crude, una permanente celebrazione della natura, pagine popolate da uomini, donne e bambini, ma anche da animali e persino da piante che si esprimono come esseri umani. La sensualità del suo stile, di ogni sua parola, ricorda che prima di scrivere Colette ha guardato, assimilato e metabolizzato tutto quello di cui parla.
Ha scritto storie di fantasia o ha documentato la sua vita? È in cerca della verità – degli esseri e dei sentimenti – o lavora al suo mito? Colette è al centro dei suoi racconti. Nella veste di personaggio, narratore e autore, ha evocato i luoghi in cui ha abitato, le persone che ha amato e i libri che ha scritto. È pertanto considerata una pioniera dell’autofinzione.
Colette, più queer che femminista
Colette utilizza parole molto dure nei confronti delle suffragette e ha parole a volte abbastanza condiscendenti nei confronti delle donne. Colette non ha l’anima di una militante. Per esserlo, bisogna difendere una causa e accettare di appartenere a un gruppo. Lei difende solo se stessa e nient’altro.
“Voglio fare quello che voglio”. E lo fa! Per quanto riguarda la sessualità o l’amore, non conosce tabù. Colette è un’esploratrice: ama gli uomini, le donne, le donne che si vestono da uomini, gli uomini molto giovani, come Bertrand de Jouvenel, il figlio appena sedicenne del suo secondo marito, che le ispirerà “Il grano in erba”. Colette rifiuta le etichette, sperimenta l’esaltazione del corpo – è la prima a decantare così tanto il piacere femminile – e auspica la metamorfosi permanente, la fluidità delle identità.
Ma Colette è ambigua. La sua libertà, ostentata e rivendicata, si mescola a fantasmi di sottomissione, poiché è così che intende l’amore.
La passione di Colette per gli animali
La modernità di Colette è anche legata alla sua passione per la natura e soprattutto per gli animali, sia nella sua vita che nella sua opera. Non ci sono gli uomini da un lato e la natura dall’altro, ma le due cose si fondono per formare un tutt’uno.
Questo amore per la natura lo ereditò dalla madre, Sido, che parlava la lingua degli animali e delle piante. Colette, invece, fa parlare gli animali. La sua arca di Noè è ricca, e ogni scoiattolo, leone o pettirosso ha diritto alla sua descrizione, o persino al suo racconto originale come “La gatta”. Attraverso la sua penna, il cane Toby e il gatto Kiki si scambiano pensieri e riflessioni sul mondo con un acume che la scrittrice non sempre attribuisce agli esseri umani.
Il dossier è stato pubblicato sul sito di RTS (in francese)