Mariasole Bianco: “Ecco perché dobbiamo diventare tutti custodi del nostro mare”
La biologa marina e presidente di Worldrise spiega perché proteggere il Mediterraneo è un impegno che non si può più rimandare
DI ADELAIDE BARIGOZZIPUBBLICATO: 10/06/2024
“In Italia c’è ancora pochissima consapevolezza sul ruolo del mare per il nostro futuro”. A parlare così è Mariasole Bianco, che al Pianeta Blu e alla sua tutela (l’8 giugno è la Giornata mondiale degli oceani), da anni dedica energie e competenza. Biologa marina e presidente di Worldrise, onlus da lei fondata per la tutela del mare, è stata tra gli ospiti di Getting Greener, il forum di Elle che si è svolto il 26 maggio a Firenze, dedicato ai temi della sostenibilità. Con lei abbiamo parlato del perché sia così vitale proteggere il Mediterraneo, e di quanto ancora c’è da fare.
RELATED STORIES
La tutela degli oceani sta per cambiare
Rispettare l’oceano, con Mariasole Bianco
La bellezza che protegge i mari
Quando pensiamo alla tutela ambientale la prima immagine è una distesa di foreste: il mare è un po’ dimenticato?
Sì, la sua importanza è sottostimata, eppure se si guarda una mappa appare evidente: la zona economica esclusiva italiana è per due terzi marina e appena un terzo terrestre. Il Mediterraneo ha plasmato la nostra identità, la storia, la cultura e ha un ruolo centrale nel nostro sviluppo, basta pensare al turismo, ma solo a patto che sia sano. Ed è tra i mari più ricchi di biodiversità, con 17.000 specie ospita tra il 4 il 18 per cento di tutta la biodiversità marina mondiale nello 0,83 per cento della superficie appena, ma è anche il più sovrasfruttato. Dobbiamo riscoprire il nostro ruolo di custodi del mare.
Worldrise nel 2021, in sintonia con l’appello delle Nazioni Unite, aveva lanciato la campagna 30×30 Italia per aumentare del 30 per cento le aree marine protette entro il 2030. Qual è il bilancio a oggi?
Nel Mediterraneo non è cambiato nulla. Appena il 10,61 per cento del mare italiano è protetto e soltanto lo 0,06 delle aree marine protette (Amp) ha una comprovata efficacia di gestione, come è richiesto dalle direttive. Altrimenti ci troviamo con parchi solo sulla carta, come il santuario Pelagus che farebbe salire la percentuale del 4 per cento ma, non avendo un ente gestore, di fatto non dispone vincoli. Inoltre, il 10 per cento delle aree marine protette va tutelato in modo integrale senza attività estrattive.
La UE ha appena approvato la Nature Restoration Law, la legge sul ripristino della natura. Questa importante misura finalmente spingerà a un cambiamento?
È un’iniziativa importante, ma perché diventi un obbligo internazionale deve essere recepita dai vari Stati, tra cui il Governo italiano, e purtroppo non vediamo un impegno politico in questo senso.
Perché le aree marine protette sono così importanti?
Sono l’unico strumento che tutela le biodiversità consentendo lo sviluppo economico e sociale delle popolazioni locali in armonia con l’ambiente. Una foresta disboscata può essere ripristinata, in un ambiente marino deteriorato l’unico intervento possibile è eliminare la minaccia, ed è quello che fanno le Amp, dando alla natura tempo e spazio per rigenerarsi. Abbiamo trattato il mare come un conto corrente da cui prelevare senza versare un centesimo, è ora di cambiare.
Quali sono gli ostacoli che impediscono la tutela?
Le risorse per le aree marine protette sono insufficienti, eppure ci costa di più non agire. L’Italia si ritrova sanzionata dall’Europa per la mancata attuazione delle misure della tutela ambientale perché preferisce pagare le multe che investire nella conservazione. La stessa legge sulle Amp, che è del 1982, andrebbe aggiornata. I punti critici sono la sorveglianza, che è affidata alla Capitaneria di porto, già oberata, mentre sarebbe opportuno trasferirla a una struttura specifica, e poi alcuni limiti alla governance per cui, per esempio, le Amp possono assumere solo il direttore, mentre per il personale devono intervenire altri enti. E infine, le competenze: non esiste un percorso universitario ad hoc. Per colmare il vuoto Worldrise ha creato Amp Accademy, 12 moduli gratuiti su come gestire un’area marina in modo efficace.
In che stato è la salute del Mediterraneo?
Si sta riscaldando il 20 per cento in più della media globale: le gorgonie e i coralli si stanno sbiancando e la stratificazione tra acque di superficie sempre più calde e quelle di profondità, fredde e povere di ossigeno, favorisce l’aumento di zone morte. A ciò si aggiunge l’overfishing: peschiamo più della capacità del pesce di riprodursi, con conseguente perdita di biodiversità. Le Amp sono un modello virtuoso anche su questo fronte, come testimoniano i monitoraggi. Da quando è stata istituita la riserva di Torre Guaceto, in Puglia, per esempio, il volume del pescato è aumentato del 54 per cento.
Un altro nemico del mare è la plastica. Com’è la situazione?
È un problema enorme. Nel Mediterraneo il 95 cento dei rifiuti sui litorali e in alto mare è plastica, si tratta di circa 229.000 tonnellate, l’equivalente di 500 container al giorno. E sono dati sottostimati.
Se le decisioni che contano le prendono le istituzioni, cosa possiamo fare noi cittadini?
Adottare abitudini corrette nella vita quotidiana, pulire le spiagge sono tutte azioni utili, ma occorre chiedere ai politici un cambiamento necessario. Il voto è fondamentale, è un modo di esercitare il nostro potere indirizzando i decisori. Ogni volta che siamo chiamati alle urne scegliamo con cura a chi dare le nostre preferenze, chiediamoci qual è la loro prospettiva, il piano d’azione. Vivere in un contesto sano che preserva la nostra identità è un nostro diritto e chi ci governa deve garantircelo a lungo termine. Se c’è ancora un piccolo margine di tempo per cambiare rotta, non possiamo perdere nemmeno un minuto.
fonte elle.com