I due furti che fecero nascere l’acqua tonica (e il gin tonic)
L’idea di Joseph Priesley, pastore protestante con un’intelligenza fuori dal comune
Questa è la storia di un furto. Non di un gioiello o di un tesoro, ma di un’idea. Avuta da Joseph Priesley, pastore protestante con un’intelligenza fuori dal comune.
Siamo alla fine del Settecento in Inghilterra, a Leeds. Priesley è figlio di un fabbricante di tessuti, è professore di lingue e ha studiato nel seminario calvinista di Daventry. Ha tre passioni. La filosofia, la chimica e – come tutti gli inglesi – la birra. Al pub, davanti a una pinta, comincia a pensare. Vuole capire come fa un liquido a essere frizzante. Come può trattenere le bollicine? Nel suo studio riesce a costruire il primo strumento per immettere l’anidride carbonica nell’acqua. Entusiasta del suo esperimento invita alcuni amici a cena. Parlano di filosofia. E della sua nuova scoperta. Racconta di essere riuscito a gasare l’acqua e di volerla chiamare “soda”. La fa assaggiare a tutti. Tra gli invitati c’è anche un orologiaio arrivato a Leeds da Ginevra. Si chiama Johann Jacob Schweppe. Prova la soda di Priesley, e anche lui ne è subito affascinato. Non perde tempo: brevetta a suo nome la scoperta di Presley e costruisce nel suo laboratorio di orefice una piccola fabbrica di acqua gasata.
Johan Jacob Schweppe bottiglia
Al tempo però non c’erano ancora le bottiglie di vetro. Quindi comincia a vendere la sua soda in contenitori di terracotta, che però non erano l’ideale per conservare un liquido gasato. Infatti la terracotta non manteneva per molto la Co2. E qui avviene il secondo furto. Un altro inglese, Sir Kenelm Digby, imprenditore e (anche lui) filosofo, nato qualche tempo prima, aveva scoperto che il vino si conservava meglio nel vetro. Così, visto che era un maestro vetraio, cominciò a produrre bottiglie di vetro. Ma anche lui non brevettò la sua invenzione. Cosa che fece, al suo posto, il solito Schweppe. Nonostante tutto, però, la sua “Schweppes”, marchio che oggi conoscono tutti, stenta ad avere successo.
Forse perché viene venduta come un medicinale. E poi è costosa: 6 penny, che valgono più o meno i 20 euro di oggi. La svolta arriva quando il sapore diventa quel dolce-amaro che conserva ancora adesso. E qui la storia si mischia alla leggenda. Erano gli anni della Compagnia delle indie orientali, quell’organizzazione commerciale che poi acquisì anche funzioni militari ai tempi delle colonie. I marinai, spediti in India, presero la malaria. I medici della marina inglese non sapevano che fare, non conoscevano quei sintomi, nel nord Europa nessuno aveva ancora sentito parlare della malaria.
Gli indiani però insegnano un rimedio ai dottori inglesi. Si prende la corteccia dell’albero di china, si sbriciola e si scioglie nell’acqua. Ma è amara, amarissima. Allora per renderla più gradevole aggiungono zucchero e un po’ di succo di limone. L’unione di questa ricetta riportata in patria dai marinai e del brevetto di Johann Jacob Schweppe dà vita all’acqua tonica che conosciamo oggi.
La svolta per questa bibita arriva nel 1851 all’Expo di Londra, dove la società Schweppes & Co. – ormai il fondatore Johann Jacob era morto – presenta il suo prodotto con un’installazione diventata famosa: la Fontana di vetro di Follett Osler, ospitata a Crystal Palace. Anche in questo caso la storia si fonde con la leggenda: sembra che per giorni, dai getti della fontana, sia fuoriuscita acqua tonica. Durante l’Expo la assaggiarono in centinaia di migliaia. Qualcuno dice un milione di persone.
C’è poi un’altra variante che nacque sempre in quegli anni. Nella razione giornaliera dei marinai inviati in India veniva distribuita anche una razione di gin, il distillato inglese per eccellenza. Tanti lo univano alla dose di acqua e chinino per combattere la malaria. Nacque così un gin tonic ante litteram. Ma questa è un’altra storia.
fonte unionesarda.it