Cosa sono le isole di plastica?
Sapete che esiste un’isola di plastica grande 8 volte l’Italia e più estesa del Messico?
Si tratta della South Pacific Garbage Patch, al largo del Cile e del Perù, con una superficie che si aggira intorno ai 2,6 milioni di chilometri quadrati. Ma non è l’unica purtroppo, e le dimensioni di queste isole di spazzatura sono ormai sempre più preoccupanti.
Ci sembra doveroso, perciò, porre l’attenzione su cosa sono le isole di plastica presenti nei nostri mari e oceani, quali sono le conseguenze e cosa possiamo fare per risolvere questo problema.
Un mare di rifiuti plastici
Capire cosa sono le isole di plastica è abbastanza intuitivo, ma sicuramente non se ne immaginano le dimensioni.
Le isole di plastica sono estese discariche di rifiuti galleggianti che si sono accumulati nel tempo nei mari e negli oceani di tutto il mondo. Rifiuti di vario genere, ma specialmente frammenti microscopici di plastica che si trovano sia sulla superficie che nel fondo del mare. Sono le microplastiche che vanno a mescolarsi con il plancton, le particelle alla base di tutta la catena alimentare. Vengono, quindi, ingerite dai pesci, crostacei e altri animali risalendo la catena alimentare fino all’uomo.
Secondo uno studio del WWF i dati sono allarmanti: l’uomo ingerirebbe fino a duemila frammenti di plastica ogni settimana, equivalenti a circa 5 grammi.
Le isole di plastica possono variare sia nella dimensione che nella posizione. Vediamo quali sono e dove si trovano le più grandi.
Quali sono le isole di plastica più note?
La più tristemente famosa è la Great Pacific Garbage Patch, nota anche come il Pacific Trash Vortex, la grande chiazza di immondizia del Pacifico, situata tra il Giappone e le Hawaii e si sposta seguendo la corrente oceanica del vortice subtropicale del Nord Pacifico. Non si conosce esattamente la sua estensione, ma secondo le stime va dai 700 mila km² fino a più di 10 milioni di km², per un totale di 3 milioni di tonnellate circa di rifiuti accumulati. Sono numeri impressionanti, si tratta, infatti, di uno dei più grandi simboli della crisi ambientale.
Fu Charles Moore, oceanografo americano, a dare per primo l’allarme e a mobilitare la comunità scientifica. La vide tornando da una regata nel 1997 e ci mise 7 giorni per attraversarla, ma in realtà esisteva già dagli anni ‘80.
Anche nell’Oceano Atlantico è presente un’isola di plastica estesa 4 milioni di km², la North Atlantic Garbage Patch.
C’è poi al largo del Cile e del Perù la South Pacific Garbage Patch che, come abbiamo detto prima, si estende per 2,6 milioni di km².
Secondo uno studio scientifico pubblicato su Nature, la grande isola di rifiuti nel Pacifico è in costante crescita. La sua superficie, per dare un’idea, è oltre 3 volte quella della Francia e più del 90% è costituita da piccolissimi frammenti.
Altre isole di rifiuti plastici di dimensioni più ridotte si trovano:
nell’Oceano Indiano;
nel Nord Atlantico;
nel Sud Pacifico;
nel Sud Atlantico;
nel Mar Mediterraneo.
In tutto, 5,25 trilioni di pezzi di plastica sarebbero sparsi nelle acque. A preoccupare anche l’area, nel Mediterraneo, che si sta formando tra Elba e Corsica. Un accumulo tra le mille e le tremila tonnellate, probabilmente legato al forte impatto umano e all’idro-dinamica di questo bacino semi-chiuso. Qui gli effetti sulla fauna marina saranno ancora più gravi.
Un’isola di plastica nel mare italiano
Grazie a degli studi condotti da ricercatori italiani e internazionali, si è scoperta un’isola di plastica al largo dell’Arcipelago Toscano, costituita principalmente da bicchieri di plastica, bottiglie, cassette, flaconi e sacchetti. Questo fenomeno ha un dannoso impatto sull’ambiente e l’ecosistema ma rappresenta anche una minaccia per la salute umana.
Secondo una recente scoperta, i rifiuti plastici potrebbero dar luogo a delle rocce di plastica o Plastic rocks. Tra i primi luoghi dove sono state scoperte queste rocce sintetiche troviamo proprio l’Italia, esattamente nei pressi dell’isola del Giglio. Queste rocce sono composte da frammenti di rocce e plastica, di diversi tipi e dimensioni che si accumulano grazie alle correnti marine, al vento o ghiaccio.
Quali sono le cause?
Perché si formano queste isole di spazzatura? I fattori sono diversi, ma le principali cause sono soprattutto da ricercare nell’attività umana: le grandi industrie involontariamente o di proposito scaricano i rifiuti in mare. A queste si aggiungono anche navi da pesca, navi porta-container, piattaforme petrolifere. Per non parlare di chi getta i rifiuti in spiaggia o in città. Si stima che l’80% della plastica provenga da fonti terrestri.
È un dato di fatto che la maggior parte delle materie plastiche prodotte finisce in mare. Altre fonti, invece, sono meno evidenti, come gli pneumatici usurati che lasciano sull’asfalto minuscoli frammenti che poi finiscono nelle fognature.
Isole di plastica: gli effetti sulla fauna marina
La plastica che si frantuma e si deposita nel fondale marino può soffocare i pesci e gli animali marini. Inoltre, i pezzi di plastica a causa delle basse temperature dell’oceano, rilasciano sostanze chimiche come il bisfenolo A (BPA), oligomeri a base di polistirolo e altri che sono dannosi per la crescita e lo sviluppo della fauna marina.
Centinaia di tartarughe liuto muoiono proprio perché ingeriscono vari materiali plastici, come anche 100 mila mammiferi marini ogni anno. Lenze da pesca e reti di nylon, cannucce, tappi, provocano la morte di tante specie che li ingeriscono per sbaglio o ne rimangono intrappolate.
Isole di plastica: conseguenze sulla fauna terrestre
Le sostanze chimiche, tossiche e inquinanti contenute nella plastica vengono ingerite dagli animali giungendo poi alla catena alimentare umana. Le microplastiche arrivano perciò persino dentro al nostro corpo!
Il problema, che ha un forte impatto sul turismo, sulla pesca e sull’acquacoltura, riguarda anche il piano economico: gli sforzi fatti per ripulire la plastica dall’oceano hanno già causato elevati oneri finanziari. Secondo The Ocean Cleanup si spendono all’anno tra i 6 e i 19 miliardi di dollari per la plastica marina.
I rifiuti oceanici inoltre contribuiscono al riscaldamento globale: il calore sulle microplastiche può provocare il rilascio di gas serra. Per contrastare i cambiamenti climatici è necessario dunque ridurre l’inquinamento degli oceani.
Le azioni per risolvere il fenomeno
Ecco una serie di soluzioni:
Ridurre l’uso della plastica, specialmente degli imballaggi.
Il riciclo: riutilizzare flaconi, bottiglie e buste. Prolungare la vita degli oggetti di plastica e dare ad essi una seconda vita.
Eliminare tutto il materiale di plastica usa e getta.
Cambiare le nostre abitudini di acquisto: comprare alla spina, utilizzare buste di tela/cotone per la spesa, utilizzare una borraccia di metallo ecc.
Intraprendere una strategia internazionale “zero waste” e puntare a un’economia circolare.
Promuovere e sviluppare progetti di pulizia di spiagge, di fiumi e di laghi.
C’è ancora tanto da fare, ma tutti possiamo contribuire per risolvere la questione rifiuti nei nostri mari. Per noi di Nieddittas il tema della sostenibilità ambientale è un sentimento profondo che ci lega alla natura a cui siamo uniti in modo così stretto. Il rispetto per il mare e per l’ambiente è da sempre uno dei valori fondamentali della nostra comunità. Consideriamo un dovere trasmettere ai nostri figli gli stessi valori e un mare se possibile ancora più pulito di quello che abbiamo ricevuto in eredità. Le nostre operazioni di pulizia dei fondali marini vicini ai nostri allevamenti minimizzano l’impatto dei vivai nell’ambiente del Golfo di Oristano.
fonte nieddittas.it