Uno studio tedesco svela quanto è pericolosa la fast fashion

10 Novembre 2024 Blog

a cura di Luciana Caglioti, Cristina Giordano e Tommaso Pedicini

Secondo uno studio condotto dalla testata giornalistica Öko-Test, nei vestiti della catena d’abbigliamento cinese Shein sarebbero presenti pericolose sostanze tossiche. La collega Cristina Giordano approfondisce quest’ultimo atto d’accusa contro i marchi di vestiti a basso costo. Con il sociologo della moda Mauro Ferraresi parliamo non solo dei tanti problemi legati alla fast fashion ma anche del grande ritorno della moda dei vestiti di seconda mano tra le giovani generazioni.
Trovate sostanze tossiche nei vestiti e nelle scarpe di Shein
Lo studio tedesco
Öko-Test è una storica testata tedesca che dagli anni ’80 si occupa di informare i consumatori sulla qualità dei prodotti che acquistano. Ha analizzato 21 capi di abbigliamento e scarpe di Shein scelti per diverse fasce d’età e genere, coprendo quindi diversi gruppi di consumatori: donne, uomini, teen-ager e bambini. L’articolo più economico costa 4,25 euro, quello più costoso solo 31,99 euro. Sono magliette, camicette, abitini con unicorni, body, pantaloni e anche un asciugamano per neonati.

I risultati
In due terzi dei capi Shein analizzati sono state rilevate sostanze nocive per la salute perché cancerogene o perché influiscono sull’apparato riproduttivo. Tra  queste antimonio, dimetilformammide, piombo, cadmio, ftalati vietati, naftalene e idrocarburi policiclici aromatici (IPA). 

Nel test di laboratorio di Öko-Test, ad esempio l’antimonio è stato rilasciato da un capo di abbigliamento per bambini dopo aver simulato una situazione di sudore. I residui di antimonio possono infatti essere assorbiti attraverso la pelle con il sudore e sono altamente tossici se entrano nel flusso sanguigno – così scrive Öko-Test.

I sandali i più tossici
I più tossici tra i capi analizzati sono due paia di sandali, per l’altissimo concentrato di sostanze chimiche nocive, comprese alcune che si pensava fossero scomparse da tempo dalla produzione tessile e calzaturiera.

In un paio di questi sandali i livelli misurati di alcune sostanze chimiche come piombo e cadmio superano persino i limiti previsti dalla normativa europea REACH, acronimo di “Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals”, e cioè la normativa europea che regola l’uso di sostanze chimiche, entrata in vigore il 1° giugno 2007. Il piombo sappiamo essere tossico per il sistema nervoso e per la riproduzione. E il cadmio può causare danni ai reni e alle ossa.

Moda nociva e di pessima qualità
Ma non è tutto, alcuni capi sono di così pessima qualità, scrive Öko-Test, che oltre a essere nocivi, durano anche poco. Ecco perché la pubblicazione è intitolata “Ultra-unnötig“ – ultra-non necessario.

Öko-Test ha rilevato che bastano 5.000-10.000 passi per rompere i sandali analizzati. E oggi con le app conta-passi, sappiamo benissimo che questi sono i numeri di una o due giornate di camminate. Sia la giacca da donna che il pantalone cargo da uomo, dopo soli 3 lavaggi hanno perso alcuni pezzi e si sono ristretti. Shein – scrive sempre Ökotest, sull’etichetta sconsiglia spesso il lavaggio in lavatrice per molti capi, in questo modo si tutela da possibili reclami. Ma sembra più che altro un trucco per nascondere la pessima qualità.

Il successo di Shein
Nel 2023 – secondo Statista, Shein ha raggiunto nel mondo un fatturato di 32,5 miliardi di dollari, + 8% rispetto all’anno precedente. In pochi anni è diventato un colosso. Shein ha sede a Singapore, ma vestiti e scarpe vengono prodotti in 5.000 fabbriche cinesi. Si sa poco sulla catena produttiva.

Öko-Test ha provato ad avere maggiori informazioni su sostanze chimiche, sostenibilità in termini di equità dei salari e provenienza di lana e cotone. Perché l’importazione del cotone raccolto dai prigionieri ai lavori forzati nello Xinjiang, proprio per il mancato rispetto dei diritti umani in Europa è ufficialmente vietato. Shein però non ha risposto e Öko-Test critica la poca trasparenza dell’azienda cinese.

Ci sono casi simili?
Nel 2018, il britannico River Island ha dovuto richiamare diversi capi a causa di livelli non sicuri di piombo e cadmio. Nel 2020,  l’irlandese Primark ha richiamato un paio di scarpe da donna per eccesso di cromo – scrive Vogue. La tossicità è un fenomeno che riguarda tutta la fast fashion. Il problema di Shein è che nasconde le informazioni sulla sua produzione.

Secondo l‘ultimo Fashion Transparency Index (2023) che controlla ogni anno i criteri di diritti umani e qualità ecologica di centinaia di brand, Shein raggiunge solo il 7% di trasparenza, contro H&M con il 71%. Questo non vuol dire che H&M sia automaticamente meno tossico, ma senz’altro fornisce più informazioni sulla produzione.

Il ciclo della tossicità
Greenpeace all’inizio degli anni 2000 ha lanciato la campagna „Detox my Fashion“ proprio per sensibilizzare sulla tossicità della moda, soprattutto quella fast fashion. Da allora alcuni passi in avanti si sono fatti, ma forse non abbastanza e oggi si può parlare di una tossicità “circolare”, che coinvolge la produzione, ma anche lo smaltimento.

Un recente rapporto di Greenpeace ha analizzato l’impatto sull’ambiente di montagne di vestiti che riempiono le discariche in Ghana. I campioni prelevati mostrano livelli pericolosamente elevati di sostanze tossiche nell’aria, tra cui sostanze cancerogene come il benzene.

L’UE stima che circa il 20% dell’inquinamento idrico globale sia causato dai coloranti e dalla finitura dei tessuti durante la loro produzione. Un solo lavaggio di indumenti in poliestere può rilasciare fino a 700.000 fibre microplastiche che finiscono poi nella catena alimentare. Ecco perché l’UE sta spingendo con norme che limitino la fast-fashion.

Il futuro della moda è sostenibile?
Da anni il professore di sociologia della comunicazione e dei consumi, Mauro Ferraresi, dell’università IULM di Milano, dove tra l’altro è direttore del master in Management del Made in Italy, avverte che il mondo della moda deve cambiare ed inserirsi nella macrotendenza della sostenibilità, non solo green, ma anche sociale.

Anche i giovani scelgono sempre più spesso gli abiti di seconda mano
„La consapevolezza non è giunta al punto da costruire azioni veramente decise“ spiega Ferraresi, che motiva il ritardo nel settore con la necessità di mettere mano all’intera filiera: dalla produzione alla vendita. La sostenibilità è quindi una delle sfide più urgenti per la moda, e la tendenza del „second hand“, così come le nuove norme imposte dall’UE sulle filiere produttive possono contribuire al miglioramento dell’intero settore – aggiunge Ferraresi.

fonte wdr.de

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