Chiude la clinica Tavistock per il «cambio di sesso»
Dopo le critiche di un rapporto indipendente, l’NHS ha deciso che chiuderà la clinica londinese per minori con «disforia di genere». Sottovalutati i rischi dei farmaci blocca-pubertà e la cura dei problemi psicologici. Ora un nuovo modello basato su centri regionali, ma serve un approccio che non ceda all’ideologia transessesualista.
VITA E BIOETICA 30_07_2022
Qualcosa si muove. Dopo le dure critiche contenute in un rapporto indipendente, pubblicato a marzo in via provvisoria dalla nota pediatra Hilary Cass, il National Health Service – il servizio sanitario britannico – ha finalmente deciso la chiusura della clinica per il «cambio di sesso» presente dal 1983 all’interno del Tavistock Centre di Londra. La clinica, l’unica per i minori di tutto il Regno Unito, dovrebbe chiudere «entro la primavera del 2023», come ha detto una fonte dell’NHS al Guardian. Questa è la buona notizia, che arriva al culmine di un percorso di cui il Rapporto Cass (commissionato dall’NHS) è stato solo l’ultimo atto. Prima, infatti, sono stati necessari anni di denunce di pazienti, famiglie e anche ex dipendenti licenziatisi per ragioni di coscienza, cioè per non essere responsabili degli esperimenti condotti su bambini e ragazzi. Fatti su cui la Bussola ha già riferito in passato (vedi qui).
La notizia, invece, potenzialmente meno buona è che l’attuale «Servizio di sviluppo dell’identità di genere» (Gids, nell’acronimo inglese) si evolverà in un modello riorganizzato in più centri regionali, come suggerito nel suddetto rapporto. Tutto dipenderà da come verranno trattati, nel nuovo modello, i casi di minori che lamentano la cosiddetta disforia di genere. L’NHS ha affermato in una dichiarazione che intende costruire un «servizio più resiliente», capace di «garantire i bisogni olistici» dei giovanissimi pazienti. Si inizierà con due centri, uno a Londra (gestito dal Great Ormond Street Hospital e dall’Evelina London Children’s Hospital) e l’altro nel nord-ovest dell’Inghilterra (gestito dal Royal Manchester Children’s Hospital e dall’Alder Hey di Liverpool). I centri, in pratica, verranno gestiti da ospedali pediatrici, che forniranno anche servizi di supporto alla salute mentale. Aspetto, quest’ultimo, poco curato alla clinica Tavistock, secondo il Rapporto Cass. Il numero di questi centri potrebbe arrivare a 7-8 in tutto il Regno Unito, riporta il Guardian.
Nel rapporto di marzo, la dottoressa Cass ha scritto che il modello basato su un’unica clinica specializzata «non è un’opzione sicura né praticabile a lungo termine alla luce delle preoccupazioni sulla mancanza di revisione tra pari e sulla capacità di rispondere a una domanda in aumento». Il numero di pazienti indirizzati alla clinica Tavistock è passato dai 138 del 2010/11 ai 2383 del 2020/21. Le liste d’attesa sono divenute sempre più lunghe, con minori che hanno aspettato anche due anni per avere un consulto. L’altra faccia di questa medaglia è che tanti bambini e ragazzi sono stati sbrigativamente indirizzati verso l’illusorio percorso di «transizione» all’altro sesso, con danni devastanti per il corpo e la mente. Inoltre, riferisce il rapporto, spesso ci sono state tensioni tra pazienti e medici, con i primi che spingevano per accedere il più rapidamente possibile ai trattamenti fisici e i secondi che si mantenevano più cauti, consci delle proprie responsabilità. Questa varietà di situazioni e di punti di vista, da un lato e dall’altro, ha fatto sì che i pazienti sperimentassero ciò che il documento della pediatra inglese ha definito una «lotteria clinica».
Riguardo all’uso dei trattamenti ormonali, la Cass ha voluto avvertire i bambini e ragazzi che c’è «ancora molto che non sappiamo sugli effetti a lungo termine». In particolare, sempre nella sua revisione di marzo 2022, la dottoressa ha spiegato che ci sono «prove insufficienti» per fare raccomandazioni nette circa l’uso ordinario di medicine che bloccano la pubertà (a proposito: ricordate il caso triptorelina in Italia?). Di qui il suo suggerimento all’NHS di «iscrivere i giovani presi in considerazione per il trattamento ormonale in un formale protocollo di ricerca con un adeguato follow-up fino all’età adulta, con un focus più immediato sulle questioni riguardanti i bloccanti della pubertà». Una precisazione doverosa. Se per un verso è vero che un follow-up, un monitoraggio periodico, può fornire dati importanti sugli effetti a lungo termine dei farmaci blocca-pubertà, d’altro canto è necessario ricordare che siamo di fronte a un esperimento deleterio e quindi esplicitare la verità che sta a monte di tutto il discorso: un trattamento che blocca un processo fisiologico come la pubertà (fondamentale per lo sviluppo della persona) non si dovrebbe nemmeno iniziare.
Una giustificazione che i fautori dell’ideologia transessualista danno dell’uso dei farmaci blocca-pubertà è che questi consentirebbero di guadagnare tempo, prima di decidersi se proseguire o no la «transizione di genere». In realtà, tali farmaci finiscono per aumentare il disagio e l’incertezza sulla propria identità sessuale, incertezza che invece gli adolescenti – nella gran parte dei casi – superano naturalmente, se non vengono traviati da pseudo-terapie che contraddicono il proprio sesso biologico. A questo proposito, la Cass esprime una preoccupazione che riguarda lo sviluppo cerebrale di chi si sottopone ai trattamenti ormonali, sottolineando che «la maturazione del cervello può essere temporaneamente o permanentemente interrotta dai bloccanti della pubertà, che potrebbero avere un impatto significativo sulla capacità di prendere decisioni complesse e comportanti rischi, nonché possibili conseguenze neuropsicologiche a lungo termine». A ciò si aggiungono gli altri problemi fisici – come danni al fegato, mancato sviluppo della densità e forza ossea, rischi per la fertilità, ecc. – che sono stati riscontrati in diversi Paesi, inclusa la Svezia, che si è perciò decisa a limitare l’uso dei bloccanti della pubertà. Perché, dunque, continuare a promuovere trattamenti nocivi?
Alla decisione sulla clinica della Tavistock si è arrivati, come accennavamo, anche grazie alle denunce di ex pazienti. Tra loro, il caso più eclatante è stato quello di Keira Bell, oggi venticinquenne pentita di aver intrapreso – quando aveva 16 anni – il percorso per “diventare” maschio, che è iniziato con i farmaci blocca-pubertà ed è proseguito con un intervento di rimozione del seno. Keira, parlando con la BBC Radio 4, si è detta «al settimo cielo» per la decisione di chiudere la famigerata clinica: «Molti bambini saranno risparmiati dal percorrere il sentiero che ho percorso io. Ho attraversato un sacco di angoscia da adolescente. In realtà avevo solo bisogno di supporto per la salute mentale». Perché quel che è necessario, in questi casi, è aiutare l’adolescente di turno ad accettare il proprio sesso biologico, cosicché la mente faccia pace con il corpo. Supporto psicologico e preghiera, per lasciarsi alle spalle le sirene delle ideologie odierne.
fonte lanuovabq.it