Cosa sappiamo sulla Fossa delle Marianne? In realtà ancora poco
La depressione oceanica visitata in solitaria (anche) da James Cameron rimane tuttora un bellissimo mistero
Di Redazione DigitalPUBBLICATO
Niente al mondo è in grado di affascinare e inquietare il genere umano come il fondale dell’Abisso Challenger, il punto più basso della Fossa delle Marianne scoperto negli anni Cinquanta. Qui, infatti, gran parte della zona ci rimane ancora oscura e l’assenza di informazioni scientifiche permette di fantasticare su un mondo popolato di mostri in grado di mettere in discussione le più basilari leggi della natura fino ad ora date per certe.
Le perlustrazioni continuano a ritmo sostenuto, ma gli esploratori che ci sono stati – tra cui anche James Cameron in solitaria – ci hanno restituito davvero poche certezze: ecco tutto quello che sappiamo.
Cos’è la Fossa delle Marianne
La Fossa delle Marianne – o, in inglese, Mariannes Trench – è il punto più profondo del mondo e uno dei luoghi ancora meno visitati della Terra. Questa depressione oceanica, infatti, si configura come un dislivello sul fondo dell’Oceano dalla forma ad arco lungo 2.500 chilometri e profondo circa 11.000 chilometri situato tra Giappone, Filippine, Nuova Guinea e le isole Marianne nell’Oceano Pacifico. Si trova dunque nel punto di incontro tra due placche tettoniche (quella del Pacifico e quella delle Filippine) e presenta – in realtà come tutte le fosse sottomarine del mondo – una grande quantità di vulcani coperti dall’acqua.
Breve storia della Fossa delle Marianne
A individuare la Fossa delle Marianne per la prima volta è stato l’equipaggio della spedizione britannica Challenger durante la più antica spedizione oceanografica della storia. Nei quasi quattro anni intercorsi tra il dicembre del 1872 e il maggio del 1876, infatti, la corvetta Challenger scoprì l’esistenza della depressione oceanica, stabilendo una profondità approssimativa di circa 8.000 chilometri. Poco più tardi, nel 1899, la carboniera Nero degli Stati Uniti riuscì a migliorare questa stima, arrivando a misurare circa 9.600 chilometri sotto il livello del mare. Cinquant’anni dopo furono ancora una volta gli inglesi ad andare in avanscoperta: la Challenger II della Royal Navy, infatti, scoprì una depressione profonda circa 10.900 chilometri e la battezzò con il nome di Abisso Challenger. I sovietici tentarono di migliorare le misurazioni nel 1957, ma i loro 11.034 chilometri di profondità non furono mai replicati e quindi la stima non è venne considerata attendibile. Dopo due tentativi effettuati da navi giapponesi (e uno nel 2009 utilizzando il robot Nereus), l’ultima mappatura è avvenuta nel 2011 attraverso un sonar scientifico e ha stabilito, per l’Abisso Challenger, una profondità di 10.994 chilometri, con un margine di errore tollerato di circa 40: più o meno, i dati che i sovietici avevano raccolto a metà Novecento.
Le immersioni nella Fossa delle Marianne
Dopo averne stabilito la profondità con accettabile certezza, per gli esploratori venne dunque il momento di immergersi nelle acque di questa zona e provare a toccarne il fondo. I primi a tentarlo salirono a bordo del batiscafo Trieste della marina statunitense progettato in Svizzera e realizzato in Italia: l’equipaggio riuscì a completare la missione alle 13:06 del 23 gennaio 1960, individuando un dislivello effettivo sotto il pelo dell’acqua di 11.521 chilometri e identificando specie animali mai viste prime intente a nuotare su un fondale sorprendentemente chiaro.
Più di recente, nel 2012 il sommergibile Deepsea Challenger australiano è stato messo in acqua per tentare una nuova impresa: non solo toccare il fondo, ma riprendere anche l’ambiente e portare a galla alcuni campioni utili alla ricerca. Il 26 marzo dello stesso anno, poi, il regista James Cameron è diventato il primo uomo a raggiungere il fondale in solitaria.
La vita nell’Abisso Challenger della Fossa delle Marianne
Creduta, prima delle esplorazioni, una spianata desertica poco incline alla vita, in realtà la Fossa delle Marianne ha rivelato fin da subito una fauna particolarmente affascinante: accanto alle alghe unicellulari in grado di riprodursi con così poca luce, infatti, sono fin da subito state scoperte alcune specie animali nuove e mai osservate. Tra queste, alcuni crostacei simili a gamberetti giganti dalle dimensioni di 30 centimetri e pesci in grado di mimetizzarsi e raccogliere il cibo sul fondale.
Da allora, gli scienziati e i biologi marini non hanno mai smesso di approfondire le loro conoscenze sugli abitanti degli abissi: nel corso degli anni sono emersi infatti numerosi pesci abissali oggi conosciuti e una particolare specie di animale denominata pesce fantasma avvistata in realtà pochissime volte. A quanto ne sappiamo oggi, questa è la varietà capace di vivere più in profondità con cui siamo venuti in contatto: molto fragile e con pinne simili ad ali, è lungo circa 15 centimetri e fiuta l’acqua grazie a dei sensori con cui ha ricoperto il suo corpo. Poco altro ci è dato conoscere, poiché gli esperti non sono mai riusciti a catturarlo per studiarlo più a fondo. A fargli compagnia presso l’isola di Guam, tuttavia, c’è il più noto pesce lumaca fatto emergere in ben 37 esemplari: ghiotto di piccoli crostacei, è caratterizzato da un colore traslucido tendente al rosa.