Josephine Baker
Di Emanuela Musto
“Ho camminato nei palazzi dei re e delle regine e nelle case dei presidenti. Ma non potevo entrare in un albergo in America e prendere una tazza di caffè, e questo mi faceva impazzire.”
Queste sue parole racchiudono un po’ l’essenza di Josephine Baker, tanto ignorata in patria, quanto amata e osannata all’estero. La sua vita sembra la trama di un film. Inequivocabile star del XX secolo, combattente della resistenza e attivista per i diritti civili, Josephine Baker ha ricoperto molti ruoli nel corso di una lunga carriera che è sopravvissuta attraverso epoche, continenti e guerre. Mezzo secolo dopo la sua morte, l’icona americana dell’età del Jazz diventa la prima donna afroamericana ad entrare nel Panthéon di Parigi, il mausoleo francese dei “grandi uomini”- e tardivamente anche delle grandi donne. Nella motivazione in cui il presidente Macron ha giustificato questa scelta si legge “una figura eccezionale che incarna lo spirito francese, una donna la cui intera vita è stata dedicata alla ricerca della libertà e della giustizia.”
Ripercorriamo la sua straordinaria storia, dalle umili origini in un’America segregata alla sua incredibile celebrità ne Les Années Folles, dal suo servizio come spia per la Francia e alla sua battaglia contro le ingiustizie sociali.
Di umilissime origini, Josephine Baker (all’anagrafe Freda Josephine McDonald) nacque il 3 giugno del 1906 a St. Luis, Missouri, da madre afroamericana e padre ispanico. I primi anni di Josephine McDonald videro un periodo particolarmente complicato per gli afroamericani: vigevano le leggi segregazioiniste Jim Crow che servirono a creare e mantenere l’isolamento razziale in tutti gli ambiti pubblici (scuole, mezzi di trasporto, bagni pubblici, differenziazione dei ristoranti per neri e bianchi), istituendo uno status definito “separati ma uguali” per tutti i gruppi etnici di colore. Nel luglio del 1917, a soli 11 anni, Josephine assistette e sopravvisse al massacro di Saint Luis. Nel corso dei due giorni della rivolta centinaia di afroamericani vennero assassinati, le loro case incendiate e più di seimila furono espulsi dalla città. Insieme alla madre riuscì a salvarsi, ma vide molti dei suoi amici e conoscenti morire davanti ai suoi occhi. Nemmeno gli anni dell’infanzia furono facili per Josephine, segnati da continui maltrattamenti e abusi da parte dei padroni della casa in cui sua madre lavorava.
A soli 13 anni sposa il musicista Willie Wells, ma la relazione dura solo pochi mesi. Ciò che fu presto chiaro alla giovane ragazza era che il suo dono per la danza l’avrebbe potuta salvare dalla povertà. A 14 anni Josephine si guadagnava da vivere ballando per strada, si unì in seguito ad un trio di artisti ambulanti e conobbe Willie Baker, un chitarrista blues che sposò poco dopo. Ma anche questo secondo matrimonio durò molto poco. Lo spirito indipendente di Josephine la portò a Broadway dove iniziò a lavorare al Plantation Club, lì conobbe Caroline Dudley Reagan, moglie dell’agente di commercio dell’ambasciata statunitense a Parigi. Donald J. Reagan vide subito il grande potenziale della ragazza e le offrì il ruolo da protagonista nello spettacolo che voleva montare a Parigi. Josephine non ci pensò troppo e partì per la capitale francese nel 1925 e ne rimase positivamente sorpresa. Dopo avere vissuto difficoltà quotidiane legate al razzismo imperante negli Stati Uniti, trova in Francia una società molto più aperta e accogliente.
La Parigi degli anni ‘20, in piena Età del Jazz, accolse Josephine Baker con entusiasmo. Divenne ben presto una stella del music-hall, famosa per le sue esibizioni esotiche e per il carisma irresistibile. Protagonista assoluta dello show La revue nègre (un numero pieno di stereotipi razzisti), Josephine ballava freneticamente, il suo corpo nudo, coperto solo da un minuscolo gonnellino fatto di banane di tela, estasiò il pubblico a tal punto che lo spettacolo divenne un enorme successo. Il produttore decise di aggiungere un femmina di ghepardo allo spettacolo, Chiquita. Josephine l’adotto poco dopo e la trattò come un vero e proprio animale domestico che portava ad un guinzaglio fatto di diamanti per le strade di Parigi.
La sua bellezza, indipendenza e grazia le procuravano proposte di matrimonio da parte delle sue decine di ammiratori. Dichiaratamente bisessuale, Josephine ebbe storie con decine di uomini e diverse donne, tra cui la scrittrice Collette a cui dedicò la sua canzone più famosa: J’ai deux amours che apparentemente si riferiva a Stati Uniti e Francia.
Nonostante il carattere provocatorio dei suoi spettacoli, Josephine dimostrò un talento artistico straordinario, spaziando dal canto alla danza, fino al cinema. Nel 1935 decise di rientrare in patria da star per dimostrare fin dove era arrivata una povera bambina afroamericana del Missouri. Sfortunatamente poco era cambiato in quegli anni e il disprezzo dei compatrioti per il colore della sua pelle era sempre lì. Obbligata ad entrare nel suo hotel dal retro dopo gli spettacoli, Josephine decise di tornare a Parigi per non rimpatriare più. Adottò la nazionalità francese sposando l’industriale Jeon Lion, da cui si sarebbe comunque separata un anno dopo. Nonostante la sua burrascosa vita sentimentale, Josephine era al culmine della sua carriera. Una cronista del New Yorker a Parigi descrisse così il suo nuovo spettacolo: “Ci sono tante scale da sembrare un sogno freudiano, cori di ballerine importati dall’Inghilterra, un corpo di ballo russo completo, colombe ammaestrate, un ghepardo vivo, montagne russe, la scenografia veneziana più bella del secolo, ettari di splendidi vestiti, un numero di suspence in cui un gorilla salva Miss Baker da un tifone e un balletto aereo con grasse signore italiane che saltellano sui fili.”
Con l’invasione della Germania nazista alle porte, la starlette ricevette una visita che le cambiò la vita. Jaques Abtey, ufficiale dell’intelligence francese, era inizialmente scettico sul fatto che una star della sua fama potesse aiutare la Resistenza. Dopotutto, era una donna in un ambiente dominato dagli uomini, non era francese e la sua celebrità poteva essere un problema per la segretezza delle missioni. Ma la Baker lo convinse piuttosto in fretta, ribadendo il suo amore per la Francia e la sua forte avversione verso i nazisti. “La Francia è il paese che mi ha adottata senza riserve. Sono disposta a dare la vita per lei.”
Abtey e Baker presto si resero conto che la popolarità e le connessioni che accompagnavano la ballerina potevano tornare estremamente utili alla causa. Josephine aveva girato l’Italia in tour e fatto la conoscenza di varie figure di spicco della diplomazia italiana. La sua prima missione, prima della caduta della Francia nel 1940, fu quella di aiutare a determinare se Benito Mussolini stava pianificando un patto con Adolf Hitler. In seguito, le chiesero di usare la sua amicizia con la moglie dell’ambasciatore giapponese in Francia per confermare che anche il Giappone aveva intenzione di allearsi con la Germania. Dopo l’occupazione nazista a Parigi, Josephine si trasferì nel suo castello Milandes dove riunì molti combattenti della resistenza, raccolse armi e nascose molti rifugiati ebrei. Nell’ottobre dello stesso anno con la scusa di andare in tour lasciò la Francia. I bagagli pieni di costumi, trucchi e spartiti musicali che si portava dietro erano perfetti per trafugare documenti e informazioni di valore. Insieme ad Abtey, che aveva assunto l’identità del suo tour-manager, riuscirono a nascondere importanti documenti di valore e fotografie da portare nel neutrale Portogallo e da lì a Londra. Non avendo mai fatto segreto delle sue opinioni antifasciste iniziò a compromettere la sua posizione in Francia. Nel 1941, insieme all’ormai fidato Abtey, si rifugiò in Algeria dove continuò con la raccolta di informazioni dal Nord Africa. Fornirono delle preziose informazioni sulle maree, sulle spiagge e sulle difese nemiche della zona che permisero il successo dell’Operazione Torch del novembre 1942, lo sbarco degli alleati in Marocco e Algeria. Durante quel periodo Josephine si ammalò gravemente, ma questo non la fermò dal portare avanti gli incontri segreti dalla sua stanza di ospedale. Dopo essersi ripresa mantenne un incessante programma di tournée intrattenendo le truppe alleate. Perfettamente cosciente delle condizioni della segregazione dell’esercito americano mise un’unica clausola, che i soldati bianchi e neri si sedessero insieme per assistere agli spettacoli.
Dopo la guerra, Josephine Baker tornò nuovamente negli Stati Uniti con la Legion d’onore sottobraccio, dove affrontò il razzismo con determinazione, rifiutandosi di esibirsi in locali segregati, non importava la somma che le offrivano. Nonostante il tour fosse un successo nazionale, a New York le venne vietato l’ingresso in ben 36 hotel e lo stesso accadde a Las Vegas. Il tour americano si concluse con una sfilata davanti a 100mila persone ad Harlem per celebrare il titolo di “Donna dell’anno” assegnatole dall’Associazione nazionale per l’avanzamento di persone di colore.
Il momento culminante del suo impegno per i diritti civili fu la partecipazione alla Marcia su Washington per il lavoro e la libertà del 1963, dove Martin Luther King Jr. pronunciò il famoso discorso “I Have a Dream“. Indossando orgogliosamente la sua uniforme militare francese, Baker fu l’unica donna a parlare davanti a 300mila partecipanti all’evento. Il suo discorso fu una potente testimonianza del suo impegno e del suo coraggio.
Tornata nel suo castello di Milandes, in Francia, Josephine adottò 12 bambini di diverse nazionalità, creando quella che lei chiamava la “Rainbow Tribe“. Voleva dimostrare che persone di diverse etnie e culture potevano vivere in armonia, rappresentando un esempio di fratellanza e amore universale. A causa di gravi problemi economici (aveva raccolto debiti per l’ammontare di mezzo milione di dollari) Josephine fu espropriata dal castello in cui viveva con i figli e lasciata in mezzo ad una strada. La Francia rimase scioccata nel vedere la propria star finire in disgrazia. Le venne in aiuto una vecchia amica, Grace Kelly. Divenuta ormai principessa di Monaco, l’attrice le trovò una casa nel Principato e la aiutò a rilanciare la sua carriera. Il suo ritorno sul palco venne accolto con grande successo e affetto. Il 12 aprile 1975, quattro giorni dopo la prima dello spettacolo, la trovarono morta in camera sua per un’embolia polmonare. Venne seppellita a Monaco con tutti gli onori militari.
Josephine Baker è ricordata non solo come una straordinaria artista, ma anche come una coraggiosa attivista per i diritti civili. La sua vita e la sua carriera hanno ispirato generazioni di artisti e attivisti.
fonte rsi.ch