Lo Scisma d’Occidente, una crisi lunga quarant’anni
Conclusa la lunga fase della “cattività avignonese”, non finirono i problemi per il papato: nel 1378 iniziò infatti il Grande Scisma d’Occidente, una crisi molto complessa, che coinvolse quattro papi e altrettanti antipapi.
Dopo il lungo periodo della “cattività avignonese” (1316-1377), durante il quale la Sede apostolica era stata trasferita nella città di Avignone da parte di Giovanni XXII (1244 ca – 1334), la città di Roma era rimasta senza pastore. I papi avignonesi, preceduti da Clemente V (1264-1314) che aveva trasferito la sede prima a Poitiers e poi a Carpentras, non risultarono così succubi delle politiche dei monarchi francesi; e tuttavia era chiaro che l’influenza francese esisteva. Il papato non riusciva a stare a Roma, lacerata dalle contese tra la famiglia Orsini e la famiglia Colonna; in Francia godeva sì di una libertà, ma pur sempre una “libertà vigilata”: il peso dell’autorità ne risultava particolarmente indebolito. Iniziarono a comparire anche alcune correnti teoriche relativizzanti l’autorità pontificia, correnti che si facevano strada in ambito universitario sulle spalle di due grandi figure intellettuali del XIV secolo: il francescano Guglielmo di Ockham (1288-1347) e Marsilio da Padova (1275-1342).
A dare il colpo di grazia, in quella fase, alla credibilità del papato fu però la tragica scissione, che prese il nome di Grande Scisma d’Occidente, e che durò quarant’anni, coinvolgendo quattro papi e altrettanti antipapi.
Il ritorno del papa, da Avignone a Roma, realizzato da Gregorio XI (1330-1378), rappresentava agli occhi dello stesso pontefice la possibilità di una crisi peggiore, che avrebbe sommato il potenziale pericolo delle contese delle famiglie romane con quello dei maneggi avignonesi, rischiando di mettere il papato dentro ad un ginepraio inestricabile. Nel tentativo di evitare questo scenario, Gregorio dispose che il conclave futuro avesse inizio subito dopo il suo decesso, senza attendere l’arrivo dei cardinali che risiedevano fuori dall’Urbe, e che il nuovo pontefice sarebbe stato eletto con una maggioranza semplice, per evitare il dilungarsi del conclave.
Morto dunque Gregorio il 27 marzo 1378, l’8 aprile i 16 cardinali presenti a Roma elessero l’arcivescovo di Bari, Bartolomeo Prignano, che prese il nome di Urbano VI (1318-1389). Il quale si mostrò sì determinato nel voler intraprendere la riforma della Chiesa, ma si mise contro quasi tutti per il suo carattere scontroso e irascibile e i suoi modi del tutto inconcilianti. Pare che, tra l’altro, avesse dato dell’imbecille al cardinale Giacomo Orsini e della canaglia al cardinale arcivescovo di Amiens. Alcuni cardinali francesi, dapprima ad Anagni e poi a Fondi, dichiararono invalida l’elezione di Urbano VI a causa di pressioni esterne sul conclave, e il 20 settembre elessero il cardinale di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII (1342-1394) e pose la sua sede ad Avignone.
La cristianità d’Occidente si spaccò così in due: al papa romano prestarono fedeltà gli Stati nel centro-nord dell’Italia, i Regni d’Inghilterra, Ungheria, Polonia, Portogallo, Svezia, Norvegia e Danimarca, mentre al papa avignonese si strinsero i Regni di Francia, Aragona, Castiglia, Napoli, Sicilia e Scozia. Si videro cardinali contrapporsi ad altri cardinali, vescovi a vescovi, abbazie ad abbazie, e persino nelle stesse diocesi e nei monasteri sorsero divisioni. Anche i santi erano divisi e contrapposti: a sostegno del papa di Roma si schierarono Caterina da Siena, Caterina di Svezia, il grande predicatore olandese Geert Groote; la riformatrice delle Clarisse, santa Coletta, il grande predicatore domenicano Vincenzo Ferreri e il giovane beato Pietro di Lussemburgo sostennero invece per un certo tempo la legittimità dei papi avignonesi, pur adoperandosi per tentare di ricomporre lo scisma.
La situazione era in stallo, perché da entrambe le parti si portavano ragioni convincenti per sostenere la legittimità dell’uno e l’illegittimità dell’altro pontefice. I quali si scomunicarono a vicenda. Vennero persino contrapposte lacrime a lacrime. Due grandi giuristi si affrontarono sulla questione: da una parte il laico Giovanni da Legnano, insegnante di diritto canonico e civile, che difese la legittimità dell’elezione di Urbano VI nel De fletu Ecclesiæ, scritto proprio nell’anno dell’elezione del pontefice (1378); dall’altra l’abate Jean Le Fèvre (1320-1390), poi vescovo di Chartres, statista e cancelliere di Luigi I e Luigi II d’Angiò, che rispose con il De planctu bonorum (1379), difendendo l’elezione di Clemente VII.
A ben vedere, il conclave che aveva portato all’elezione di papa Urbano era stato piuttosto movimentato. I romani, sapendo che al conclave la maggioranza dei cardinali era composta da francesi, fecero sentire le loro minacce, con il famoso grido: «Romano lo volemo, o almanco italiano!». Grida che si materializzarono nell’invasione nella stanza del Conclave… Dunque, le pressioni ci furono, ma sarebbe stato doveroso verificare se fossero state tali da viziare formalmente il conclave. Ma non fu per questa strada che si volle risolvere la situazione: l’obiettivo era mettere fuori gioco Urbano VI, il cui comportamento era sempre più ingestibile. E così ne nacque uno scisma lacerante.
La situazione però andò persino peggiorando. Nella linea dei papi di Roma, a Urbano VI successero Bonifacio IX (1350 ca – 1404), Innocenzo II (1336 ca – 1406), che regnò per soli due anni, e Gregorio XII (1335 ca – 1417); all’antipapa Clemente VI, successe, nel 1394, il cardinale spagnolo Pedro Martínez de Luna, che prese il nome di Benedetto XIII (1328-1423). I tentativi tra le due parti di risolvere lo scisma non andarono a buon fine; anche quello più recente, tra Gregorio XII e Benedetto XIII, finì in nulla. Questa situazione prolungata, dopo trent’anni di divisione, portò all’esasperazione tra i cardinali di entrambe le parti, i quali decisero di trovare essi stessi una soluzione per porre fine allo scisma… e ne crearono un altro.
Riuniti in concilio a Pisa, il 25 marzo 1409, dichiararono scismatici ed eretici i “due papi”, i quali, sulla base del principio che il papa eretico non è più papa, dovevano perciò essere sostituiti. Venne così eletto un “terzo papa” (secondo antipapa), nella persona dell’arcivescovo di Milano, Pietro Filargo, che prese il nome di Alessandro V (1339-1410); il quale però morì l’anno dopo la sua elezione e venne sostituito dal promotore del concilio pisano, il cardinale napoletano Baldassarre Cossa, che prese il nome di Giovanni XXIII (1370ca-1419). Cossa era stato tra i più attivi per ricomporre la frattura tra Gregorio XII e Benedetto XIII, ma senza riuscirvi. Per questo tentò la strada di un concilio – che sarà poi quello di Pisa – e accettò di tirarsi da parte durante il concilio di Costanza (1414), per cercare di ricomporre la crisi. Ma questo, lo vedremo la prossima volta.