MARGHERITA HACK, LA STORIA VERA DELLA SIGNORA DELLE STELLE
Elisa Chiari
Il suo “strano” cognome, Hack, veniva dal padre di origine svizzera, di formazione protestante. Margherita, figlia unica di una coppia che non aveva studiato fino all’università, è cresciuta a Firenze, origine che il suo accento ha rivelato fino alla morte a dispetto del lungo perigrinare seguendo le stelle, in una casa in cui la libertà ha avuto un valore, pagato anche a caro prezzo.
Attorno alla nascita della figlia, avvenuta nel 1922, il padre, contabile in un’azienda che produceva energia elettrica, perse il lavoro a causa delle sue idee antifasciste, mentre la moglie, diplomata in belle arti, aveva lasciato il proprio impigo al telegrafo per accudire la figlia e dovette arrangiarsi per sbarcare il lunario dipingendo copie e miniature per i turisti. La stessa astrofisica ha raccontato, in diverse occasioni, di essere stata una bambina cresciuta libera di coltivare le sue passioni, compresa una certa destrezza a lavorare con le mani: per esempio smontando e rimontando una bicicletta, ricordo che negli ultimi anni della sua vita l’ha portata a ripetere, autoironicamente, quel gioco in tuta da meccanico, nel video del gruppo musicale Tête de bois dedicato ad Alfonsina Strada, la prima donna al Giro d’Italia. Un’attitudine quella alla manualità, destinata a segnare anche la sua vita di scienziata, più portata alla pratica del laboratorio che allo studio meramente teorico.
GLI STUDI E LO SPORT
Nel corso delle sue ricorrenti testimonianze divulgative, ha raccontato spesso di non essere stata una “secchiona”, al ginnssio Galilei e poi al liceo classico di Firenze, diceva di aver studiato con diligenza ma senza particolare passione, avendo chiara l’idea che la famiglia faceva sacrifici per mantenerla e che dunque bisognasse passare. Assieme allo studio coltivava lo sport sua passione da sempre: pallavolo, lancio del peso, mezzofondo per poi approdare al salto in lungo e in altro, le specialità che le hanno dato più soddisfazione, fino a vincere i Littoriali dello sport in entrambe le gare nel 1940.
Chi si immaginasse quella curiosità per le stelle nata nell’infanzia sbaglierebbe, però: Margherita Hack ha descritto la sua avventura nel sapere come una sequenza di casualità, a cominciare dall’università cominciata senza le idee chiare con un’iscrizione a Lettere di cui sentiva parlare da amici dei genitori: durò un’ora appena. Il tempo di assistere alla prima lezione di Giuseppe De Robertis, filologo insigne studioso della poesia di Ungaretti e di Leopardi, la convinse di aver sbagliato indirizzo: «Mi venne una gran barba», diceva spesso ridendo. Ricordandosi che al liceo la materia che più l’appassionava era la fisica, passò a quella facoltà certo all’epoca assai poco frequentata dalle ragazze. La famiglia rispettò la scelta, anche se l’impatto economico delle facoltà scientifiche era un poco più elevato sulle finanze domestiche.
LA TESI SULLE STELLE, SOTTO LE SCHEGGE IN TEMPO DI GUERRA
Quando venne il momento di chiedere la tesi, raccontò negli anni Novanta a Tele2000, Hack pensò all’elettronica, materia all’epoca nuova, ma le venne offerta una tesi compilativa in elettrostatica, che rifiutò per scegliere un campo che la portasse alla sperimentazione in laboratorio. Con quella mira si rivolse all’unico istituto all’epoca in grado di offrirgliela l’istituto di astronomia dove ebbe una tesi sulle Cefeidi, una classe di stelle variabili. All’osservatorio astronomico di Arcetri, lavorò alla sua tesi di laurea nella Firenze presa in mezzo al fronte tra gli Alleati e i tedeschi, dove anche l’osservatorio finiva spesso sotto una pioggia di schegge. Quando i tedeschi se andarono lasciarono dietro di sé in macerie tutti i ponti sull’Arno escluso il ponte Vecchio e una città riportata per mesi all’Ottocento, senza energia elettrica, gas e acqua corrente: «La nostra fortuna», raccontò, «fu di abitare in una vecchia casa ereditata dal nonno, che aveva ancora il pozzo e i fornelli a legna sotto quelli a gas. Per fortuna avevo raccolto abbastanza materiale e riuscii a scrivere la tesi.
LA LAUREA E IL MATRIMONIO
La laurea sarebbe arrivata a gennaio del 1945, poco dopo il matrimonio in chiesa con l’amico di infanzia Aldo De Rosa, letterato, compagno di una vita: Margherita Hack era all’epoca già sicura del suo ateismo, ma acconsentì al matrimonio religioso per amore del marito e delle famiglie di entrambi che tenevano a quel passaggio. Il marito, che Hack ha sempre riconosciuto tra le proprie “fortune” con la famiglia in cui è cresciuta, è stato tra quelli che l’hanno sempre incoraggiata a proseguire con la ricerca e con la fiducia in sé stessa, fin da quando subito dopo la laurea è rimasta all’Osservatorio di Arcetri come assistente volontaria. Il matrimonio è durato fino al 2013 alla morte di Margherita, Aldo le è sopravvissuto un anno. Il direttore dell’Osservatorio era all’epoca Giorgio Abetti, fisico mentre gli osservatori dell’epoca erano spesso diretti da matematici: un maestro lungimirante e illuminato, propenso ad ascoltare gli allievi e a incoraggiarli a esperienze all’estero, quando ancora non era comune. Dopo un periodo di precariato, e nove mesi di lavoro alla Ducati che si occupava all’epoca anche di ottica e macchine fotografiche, Margherita Hack ottenne nel 1948 un posto da assistente incaricata, in attesa del concorso per assistente di astronomia che vinse nel 1950.
L’ESPERIENZA INTERNAZIONALE
Alla fine del 1952 ottenne una borsa di studio di sei mesi per l’Institute d’Astrophysique di Parigi, dove lavorò con Daniel Chalogne a un progetto sulla della classificazione degli spettri stellari. Nel marzo del 1954 ottenne la libera docenza e divenne docente all’università degli studi di Firenze e poco dopo si trasferì all’osservatorio astronomico di Merate, succursale dell’osservatorio milanese di Brera, dove arrivò col marito nel luglio del 1954, pochi mesi dopo la coppia a bordo di una Fiat giardinetta, come riporta il suo profilo su Treccani online, partì alla volta di Utrcht per un progetto di ricerca sulla struttura delle atmosfere stellari. Nello stesso anno alla sua prima Assemblea da membro dell’Unione astronomica internazionale (IAU), Margherita Hack incontrò a Dublino Otto Struve, ottenendone la stima, tanto da essere invitata a lavorare con lui a Berkeley in California, dove andò nel 1955, partendo da Genova per New York, sempre con Aldo De Rosa, a bordo di uno degli utlimi famosi transatlantici. Negli Stati Uniti conobbe il meglio dell’astrofisica internazionale e mise insieme una considerevole produzione scientifica che la portò a tenere un corso di astrofisica ad Ankara nel 1962 poi a Princeton, ancora con Struve, nell’’Institute for Advanced Study diretto da Robert Oppenheimer, dove conobbe Paul Dirac, uno dei padri della meccanica quantistica, e Freeman Dyson, astrofisico teorico.
“PRIMADONNA” A TRIESTE
Margherita Hack ha sempre detto di non avere avuto grandi difficoltà ad affermarsi in ambito accademico nonostante fosse spesso l’unica donna, ma ammetteva che probabilmente non sarebbe mai diventata la prima donna a vincere a Trieste una cattedra di Astronomia senza tutto quel peregrinare nei maggiori centri di ricerca del mondo, nei quali ha maturato una mole di titoli enormemente superiore ai suoi concorrenti maschi italiani e le referenze dei colleghi stranieri di peso come Struve.
Con la cattedra triestina ottenne la collegata direzione dell’osservatorio astronomico di Trieste, ruolo mai ricoperto in Italia da una donna, che negli anni della sua direzione, partendo quasi da zero in fatto di risorse umane e strumentali, divenne un centro di importanza internazionale, cosa che ha sempre affermato di aver potuto fare grazie alla vicinanza e agli ottimi rapporti con centro di fisica teorica, nato nello stesso periodo e che aveva «lo scopo di dare una dare una formazione di alto livello in fisica ai giovani in via di sviluppo: è stato utile perché mi ha permesso di organizzare ingressi da altri Paesi e di fare rete favorendo la crescita a livello internazionale».
Hack non ha mai nascosto di aver avuto un debito con la mentalità rinnovata grazie al processo di democratizzazione dei centri di ricerca astronomica seguito al 1968 quando – raccontava – «i ricercatori degli osservatori, fin lì schiavizzati dai loro direttori, hanno ottenuto un gruppo a struttura democratica con consigli scientifici diretti giudicare i programmi su cui dirigere fondi. Per fortuna li hanno usati bene, andando all’estero». Tanto che, ripeteva, tra gli anni Settanta e Novanta, la ricerca astrofisica italiana da ferma o quasi che era «è diventata una delle migliori d’Europa all’altezza degli Usa, una crescita cui ho avuto la fortuna di assistere e contribuire».
IMPEGNO CIVILE E DIVULGAZIONE, IL PERSONAGGIO MARGHERITA
Nel 1979 Margherita Hack fu tra i soci fondatori della rivista «L’astronomia», mentre l’anno successivo realizzò il progetto di un Istituto di astronomia all’Università di Trieste, divenuto poi Dipartimento a partire dal 1985 e da lei diretto fino al 1990. Nel 1992, terminato l’insegnamento per raggiunti limiti d’età, continuò a dedicarsi alla ricerca e all’organizzazione del dipartimento del quale fu di nuovo direttrice dal 1994 al 1997, anno in cui si ritirò congedò dall’attività lavorativa vera e propria, per proseguire soltanto una fervida attività di divulgazione scientifica cui ha tenuto fede fino alla morte, raccontando le stelle al grande pubblico a voce e per iscritto e diventando, nella sua informale semplicità, un’icona riconosciuta per strada.
Vegetariana e amante degli animali, nella vita privata è rimasta sempre legata al marito Aldo De Rosa che l’ha seguita ovunque anche quando la malattia gli rendeva difficili gli spostamenti. Del cielo aveva una visione rigorosamente scientifica e non ha mai nascosto la sua lontananza da ogni fede religiosa, cosa che non le ha mai impedito di confrontarsi anche in pubblico con chi la pensava diversamente e di scrivere con il sacerdote Pierluigi Di Piazza un libro intitolato Io credo, dove ci si confrontava sul credere in cose diverse, nel reciproco rispetto. Ha sempre sostenuto anche politicamente la libertà di ricerca ed è sempre rimasta fedele alle proprie idee in tema di sostegno alle unioni civili e al favore per una legge sul fine vita. Accademica dei Lincei, Margherita Hack, scomparsa il 29 giugno del 2013, è stata la prima scienziata italiana ad avere il riconoscimento pubblico di un monumento eretto in Italia: è stato inaugurato a 100 anni dalla sua nascita il 12 giugno del 2022 a Milano, a Largo Richini, di fronte all’Università statale e la ritrae mentre punta al cielo i suoi limpiti occchi azzurri impugnando un cannocchiale immaginario.
fonte famigliacristiana.it