William Godwin e Mary Wollstonecraft, un amore che ha ancora tanto da insegnarci sulla parità
Un matrimonio davvero paritario in un’epoca in cui era inconcepibile
DI SARA MOSTACCIO
Non fu amore a prima vista e passarono anni dal primo incontro al momento in cui decisero che avrebbero passato la vita insieme. Né sapevano che quella vita sarebbe stata cortissima, meno di un anno. È la storia d’amore tra Mary Wollstonecraft e William Godwin, scrittori, filosofi, paladini di uguaglianza e libertà. Fu a una cena che il loro comune editore Joseph Johnson aveva dato per un altro dei suoi autori che si incontrarono per la prima volta. A quella serata partecipava anche il pittore svizzero Johann Heinrich Füssli e fu con lui che Mary allacciò una relazione. Benché sposato, l’artista fu tanto abbacinato dalla vivacità d’intelletto della scrittrice da proporle di trasferirsi a casa sua e vivere una relazione a tre con la moglie. La qual moglie ovviamente non fu d’accordo, cacciò Mary, rimise in riga il marito e li costrinse a rompere.
Fu il primo ma non ultimo doloroso amore di Mary, che già non aveva avuto una vita facile. Figlia di un imprenditore fallito e dedito a gioco e alcol, aveva cercato in ogni modo di tirarsi fuori dalla miseria e dal dominio paterno come dalla sottomissione materna e dal destino che sembrava destinato anche a lei. Un’istruzione regolare non aveva potuto averla ma si era impegnata da autodidatta mentre cercava di mantenersi lavorando come dama di compagnia e istitutrice e tentando, senza successo, di aprire una scuola con l’amica Fanny Blood. In memoria della quale, morta prematuramente, avrebbe chiamata Fanny anche la sua prima figlia.
Una figlia illegittima, avuta da un altro imprenditore fannullone e ingannatore, Gilbert Imlay, che l’aveva irretita come una delle tante prede della sua frequente pesca mentre lei se ne era innamorata per davvero. Fu un turbine di sofferenze, tradimenti e abbandoni. Finì addirittura per lasciarla sola con una neonata nella Parigi infiammata dalla Rivoluzione.
Quando Gilbert la lasciò definitivamente per seguire una nuova fiamma Mary tornò in Inghilterra e tentò il suicidio gettandosi nel Tamigi. Non le riuscì. Una volta ancora dagli abissi della disperazione seppe tirarsi fuori. Lo fece mettendo a punto la nascente filosofia femminista di cui già da alcuni anni si occupava scrivendo di educazione delle ragazze e di diritti delle donne, scagliandosi contro disuguaglianze, patriarcato, sottomissione femminile.
Mary e William si incontrarono ancora nel 1796 e stavolta lui aveva letto uno dei suoi libri, scritto alla fine di un viaggio in Scandinavia. Pensava che fosse un libro “che poteva far innamorare un lettore della sua autrice”. Con lui perlomeno funzionò. Il corteggiamento fu lento ma costante. Pur venendo da mondi completamente diversi avevano in comune due cose: l’amore per la cultura e la fede nella libertà e nella parità.
Quando Mary rimase incinta e decisero di sposarsi, nel marzo del 1797, suscitarono non poche battute sulla stampa: come? così contrari al matrimonio come strumento di oppressione e adesso si posano? Non finivano di ridere. Ma loro come al solito misero tutti a tacere. Sposati, certo, ma per garantire al figlio in arrivo (credevano fosse maschio, in principio, invece era quella che poi sarebbe diventata Mary Shelley) un riparo dalle maldicenze. Nient’altro.
Presero in affitto due case adiacenti per conservare la propria indipendenza ma crescere insieme i figli. William aveva accolto Fanny come sua. Ognuno lavorava ai propri libri ma comunicavano in continuazione affidando bigliettini alle cameriere. Il loro fu un matrimonio davvero paritario in un’epoca in cui era inconcepibile che un marito dividesse gli oneri domestici con la moglie e le garantisse una libertà pressoché totale.
Ma l’idillio durò poco. Un anno in tutto, sei mesi appena di matrimonio. Dieci giorni dopo aver dato alla luce la figlia, che ne prese il nome, Mary morì di setticemia. La cosiddetta febbre da parto era allora un nemico oscuro e invincibile. Lasciò Fanny di pochi anni, Mary appena nata e William distrutto. A un amico scrisse: “credo fermamente che non esista al mondo chi sia pari a lei. So per esperienza che eravamo fatti per renderci felici. Non ho la minima speranza di poter conoscere ancora la felicità”.
La scomparsa prematura e tragica di Mary, la femminista contraria al matrimonio che moriva di parto, colpì non solo chi la amava ma tutto il mondo culturale che aveva imparato ad apprezzarne l’intelligenza e persino le posizioni radicali. I giornali scrissero necrologi che ne ricordavano il carattere e il talento. Fu allora che si consumò un nuovo dramma, l’ultimo. L’editore Johnson, per cavalcare l’ondata di popolarità e simpatia che Mary suscitava, propose al marito di curare un’edizione delle sue opere postume con una nota biografica. William acconsentì.
Per tre mesi dopo il funerale della moglie trovò un nuovo scopo chiudendosi nello studio di Mary con tutte le sue carte. Consultò parenti e amici, raccolse lettere e superò ogni ritrosia scrivendo tutta la verità su chi sua moglie era stata. Non solo come intellettuale e filosofa ma anche come donna. William aveva buone intenzioni, voleva rendere giustizia a una donna a cui la vita aveva inferto molte ferite ma che proprio da quelle ferite era risorta più forte, convinta, rivoluzionaria. Invece non le fece un buon servizio. La stampa si scandalizzò nell’apprendere che Mary aveva avuto una relazione con un uomo sposato, un’altra senza sposarsi, una figlia illegittima e che aveva persino tentato il suicidio prima di convivere con Godwin e aspettare una bambina fuori dal matrimonio. E così la biografia che doveva essere un atto d’amore si trasformò in uno stigma. Solo decenni dopo Mary sarebbe stata riabilitata e riconosciuta come la fondatrice del primo movimento femminista.
fonte elle.com