In Sardegna un’azienda sfrutta la CO2 per immagazzinare energia da sole e vento

18 Dicembre 2024 Acqua, Wunderkammer

di  MIGNOGNA ANDREA

Energy Dome è un progetto che vuole creare un’alternativa alle batterie basate sulle terre rare. Un primo impianto sperimentale è in funzione e secondo l’Agenzia per l’energia è una tecnologia che può fare la differenza 
 
Immagazzinare l’energia prodotta da fonti rinnovabili attraverso sistemi produttivi facilmente replicabili e composti da materiali diffusi sul mercato. È il grande dilemma che da tempo il mondo dell’energia cerca di sciogliere, e che oggi l’azienda italiana Energy Dome potrebbe aver risolto usando il principale gas climalterante: la CO2. Oggi la vera sfida della transizione energetica verso le soluzioni rinnovabili non riguarda tanto come produrle, ma come immagazzinarle. 

Il solare e l’eolico sono fonti energetiche non programmabili, che esistono in abbondanza in certi momenti e in altri meno: basti pensare all’approvvigionamento di energia solare quando è notte o di quella eolica quando cala il vento. Per questo da diversi anni la vera questione è lo storage dell’energia, il suo immagazzinamento: che tipo di batterie o sistemi di stoccaggio si possono creare per conservare l’energia da fonti rinnovabili quando è in eccesso e quindi averla quando serve? Al momento, le batterie attuali sono basate principalmente su terre rare come il litio e materiali critici come il cobalto. Energy Dome ha brevettato un sistema che invece usa l’anidride carbonica come sistema di immagazzinamento dell’energia prodotta dalle fonti rinnovabili non programmabili. E quest’estate ha presentato il primo impianto in grado di realizzare questo scopo, creato a Ottana in Sardegna. 

Per valutare la reale applicabilità della soluzione presentata dall’azienda guidata dall’ad Claudio Spadacini, Wired ha intervistato un tecnico che potesse spiegare e analizzare la portata innovativa di questo sistema: l’ingegner Giuseppe Messina del Laboratorio di Ingegneria dei processi e dei sistemi per la decarbonizzazione energetica dell’Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile). Che in generale conferma la bontà della proposta di Energy Dome:

 
“È una tecnologia rivoluzionaria per tanti motivi: soprattutto perché rappresenta un’alternativa all’attuale catena del valore alla base della transizione energetica” .
Una risposta al problema dell’accumulo energetico
In sintesi, si tratta della prima batteria a CO2 al mondo: utilizza l’anidride carbonica per immagazzinare l’energia rinnovabile prelevata dalla rete elettrica. Energy Dome afferma che la tecnologia può essere distribuita rapidamente e ovunque. “È un sistema di accumulo che si pone in competizione con i sistemi di accumulo a maggiore potenziale di diffusione commerciale che sono le batterie – riprende Messina – ma non è un sistema elettrochimico simile a quello di queste ultime, bensì di accumulo termodinamico. In fase di carica usa l’energia elettrica prelevata dalla rete per comprimere la CO2 contenuta nella ‘cupola’  e stoccarla allo stato liquido immagazzinando il calore generato dalla compressione; in fase di scarica il calore precedentemente immagazzinato è utilizzato far evaporare la CO2 ed espanderla in una turbina per la generazione di energia elettrica”. In parole povere, assorbe l’energia dalla rete elettrica quando questa è in eccesso o costa poco e la restituisce alla rete quando ce ne è più bisogno: “Sono sistemi fondamentali per le energie rinnovabili che sono in gran parte non programmabili in termini di distaccamento: pensiamo al fotovoltaico o all’eolico”. Come specifica l’ingegnere dell’Enea, il nostro sistema elettrico attuale è strutturato per rispondere immediatamente alla domanda di energia. La curva dell’offerta si sposa continuamente con quella di domanda: quando abbiamo bisogno di energia, premiamo semplicemente un interruttore. 

 
“I sistemi di accumulo entrano in gioco per incrementare la penetrazione delle rinnovabili non programmabili nel sistema elettrico: più produciamo questo tipo di energia, più abbiamo bisogno di sistemi di accumulo come Energy Dome. Questo sistema è il primo mai sviluppato, tanto che l’azienda ha un brevetto a livello mondiale”, dice l’ad.
L’uso della CO2 come batteria per le energie rinnovabili
Secondo quanto descritto dalla stessa azienda sul sito web, la 22CO2 è uno dei pochi gas che può essere condensato e immagazzinato come liquido sotto pressione a temperatura ambiente. Per questo è il fluido perfetto per immagazzinare energia in modo economico in un processo termodinamico chiuso, senza dover raggiungere temperature estremamente basse. In un’intervista a Bloomberg Spadacini spiegava il funzionamento: “Per caricare la batteria, prendiamo la CO2 a temperatura e pressione quasi atmosferica e la comprimiamo. Il calore generato durante la compressione viene immagazzinato. Quando scambiamo l’energia termica con l’atmosfera, il gas CO2 diventa liquido. Per generare e distribuire elettricità, la CO2 liquida viene riscaldata e riconvertita in un gas che alimenta una turbina, la quale genera energia. Il gas CO2 è sempre contenuto e l’intero sistema è sigillato”. Ecco la dimostrazione di come funziona la tecnologia in questo video. 
 
Un altro aspetto interessante è che non si tratta di una particolare tipologia di anidride carbonica, come spiega Messina: “È una CO2 di grado industriale che può provenire da fonti naturali o da processi chimici. Certo avrà una specifica soglia di purezza ma probabilmente anche con requisiti meno stringenti rispetto a quella per uso alimentare, ovvero che serve per esempio a rendere l’acqua frizzante e che magari ha requisiti di tossicità definiti”. 

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È, per esempio, un gas che si trova facilmente in Italia e che potrebbe rientrare in sistemi di economia circolare, se opportunamente depurato. L’anidride carbonica che rimane in circolo nell’impianto è sempre la stessa: se quindi questo sistema di accumulo non serve anche a smaltire anidride carbonica, ha però un forte impatto indiretto sul tema delle emissioni: “Se una tecnologia di accumulo come questa permette di incrementare la penetrazione delle energie rinnovabili non programmabili, si apre maggiore spazio a queste fonti rispetto alle non rinnovabili. L’uso dell’energia ‘green’ dipende dallo stoccaggio: se non avessi questo tipo di tecnologie ci sarebbe, come c’è, ancora bisogno delle fonti fossili”, dice l’ad.

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Oggi i meccanismi di storage delle energie rinnovabili sono basati sull’uso di terre rare come il litio e materiali critici come il cobalto “non facilmente accessibili e controllati da pochi fornitori: per esempio, la sola Cina gestisce qualcosa come il 50-70% della raffinazione di litio e cobalto – prosegue l’ingegnere dell’Enea -. Questi minerali dipendono da più filiere legate alla transizione energetica, come quella delle auto elettriche. Visto che andiamo verso una crescita ampia, la richiesta non può che aumentare. Per questo da un punto di vista geopolitico è pericoloso essere totalmente dipendenti da risorse che non controlliamo completamente o sono gestite da pochissimi paesi nel mondo. In questa tecnologia di Energy Dome si impiegano materiali come acciaio, CO2, acqua: tutti materiali facilmente reperibili in commercio”. 

 
Inoltre, i dispositivi di accumulo al litio richiedono tecnologie complesse per la riciclabilità e lo smaltimento: la filiera industriale per il riciclo delle batterie al litio è molto limitata al momento e questo ha un impatto a sia livello ambientale che economico. Invece i materiali di questo sistema di accumulo sono in gran parte riciclabili con la capacità industriale e le tecnologie attualmente disponibili.

Una macchina che comprime anidride carbonica – Foto credit: Energy Dome
E il mercato sta scommettendo su questa innovazione tecnologica: Energy Dome si è assicurata diversi accordi commerciali, tra cui uno con la multiutility lombarda A2A per la costruzione di un primo impianto. All’inizio di quest’anno, l’azienda ha firmato un accordo di licenza non esclusivo con Ansaldo Energia, fornitore di impianti e componenti per la generazione di energia, per la costruzione di progetti di accumulo a lunga durata in Italia, Germania, Medio Oriente e Africa. Già oggi, a supporto finanziario dello sviluppo degli impianti di Energy Dome, ci sono investitori di peso come Barclays, CDP Venture Capital Sgr, Novum Capital Partners: la società italiana ha annunciato a giugno il completamento di un round di finanziamento da 10 milioni di euro. 

Pochi limiti, molti vantaggi
Cercando di fare le pulci alla tecnologia di Energy Dome, ci sono due elementi da tenere in considerazione secondo l’ingegnere dell’Enea: “Lo stoccaggio di CO2 ad alta pressione, che non rappresenta una criticità tecnica ma incide sul costo dell’impianto: elemento che sono sicuro comunque sia stato preso in considerazione. E poi l’impatto sul consumo di suolo generato dalla cupola”. Ma soprattutto Messina mette in luce i grandi vantaggi di questa tecnologia: a cominciare dall’efficienza delle batterie ad anidride carbonica. “Le batterie al litio si deteriorano col tempo: pensiamo ai nostri telefonini, ma anche alle auto elettriche. Nel caso di Energy Dome, a fronte di una corretta manutenzione, la curva di efficienza può essere stabile per decenni.

 
Da questo punto di vista il paragone più corretto è quello con i sistemi di pompaggio idroelettrici: impianti che sono lì e funzionano magari da 100 anni. In quel caso, si tratta di spostare acqua: in questo di spostare CO2”.
Si tratta di una la tecnologia che è già stata testata ed è pronta per essere lanciata sul mercato: “È un pregio notevolissimo. Energy Dome ha depositato il patent a febbraio 2019: a giugno del 2022 aveva già avviato il primo impianto. Ci hanno messo meno di 3 anni e mezzo, con tutti i problemi da risolvere partendo da un concetto su carta”, dice il manager. 

La stima del tecnico dell’Enea è che a regime, pensando a impianti standardizzati, potrebbero volerci mesi e non anni per nuove implementazioni. E infine c’è un tema di accettazione sociale: ogni tecnologia può essere più o meno valida, ma se le persone non la vogliono, non si adotta. È il caso, ad esempio, del dibattito sul nucleare che prescinde dalla validità scientifica di questa fonte energetica. In questo caso, conclude Messina, “se la comunicazione per questa nuova tecnologia sarà gestita bene, qualsiasi eventuale problematicità tecnologica si risolverà”. Perché un sistema di questo tipo può essere un supporto concreto, immediatamente applicabile, alla transizione energetica verso le fonti rinnovabili. E il consenso pubblico è sempre più diretto verso questa direzione di sviluppo.

fonte wired.it

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