Alfons MUCHA – PRAGUE
Alfons Maria Mucha ([ˈalfons ˈmuxa] Ivančice, 24 luglio 1860 – Praga, 14 luglio 1939) è stato un pittore e scultore ceco. Il suo nome viene spesso francesizzato come Alphonse Mucha. È stato uno dei più importanti artisti dell’Art Nouveau.
Fanciullezza
Alfons Maria Mucha nacque il 24 luglio 1860 a Ivančice, in Moravia (una regione dell’odierna Repubblica Ceca, allora facente parte dell’Impero austro-ungarico). Figlio di un usciere del tribunale, Ondřej Mucha (1825-1891), e della sua seconda moglie Amálie Malá (1822-1880), donna di umile origine ma di grande intelligenza, Alfons già giovanissimo rivelò la propria vocazione artistica, che si manifestava nei suoi molteplici disegni della realtà intorno a lui: fiori, cavalli, scimmie erano tutti soggetti che catturavano la sua fervida attenzione, diventando in questo modo ricorrenti nella sua primissima produzione grafica.
Un impulso decisivo, in ogni caso, gli venne fornito dalla formazione religiosa che ricevette per iniziativa della madre, una devota cattolica praticante. Il giovane Mucha, infatti, trascorse diversi anni alla chiesa dell’Assunzione di Maria Vergine di Ivančice, dove era accolito e corista; fu proprio il suo talento nel canto a consentirgli, all’età di undici anni, di passare al coro della cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, nella città di Brno, dove compì anche gli studi secondari al ginnasio Slovanské. A Brno il giovane Alfons crebbe nell’ambiente patriottico che faceva capo al movimento di rinascita nazionale ceco, dal quale trasse l’amore per la civiltà morava e le sue tradizioni; anche l’ambiente ecclesiastico lasciò tracce profonde sulla sua fantasia, animata dall’imponente mole delle cattedrali, dal penetrante aroma dell’incenso, dal suono delle campane e generalmente da impressioni che lo accompagnarono per tutta la vita e ne segnarono in modo particolarmente intenso la produzione artistica.
Nell’autunno del 1878, su consiglio di Josef Zelený, Mucha presentò la domanda d’iscrizione per l’Accademia di Belle Arti di Praga; non venendo ammesso (gli venne suggerito addirittura di scegliere una «professione differente»), a soli diciannove anni si trasferì a Vienna dove lavorò per la compagnia Kautsky-Brioschi-Burghardt come pittore per scenografie teatrali.
Per un ragazzo che a malapena si era inoltrato oltre Praga, città sì pittoresca, ma ancora profondamente provinciale, Vienna dovette apparire imponente, quasi maestosa. La città, capitale dell’Impero austro-ungarico, era stata tra l’altro appena rivoluzionata da un vasto piano di ristrutturazione urbanistica, culminato con l’apertura di una monumentale arteria che demarcava il perimetro del centro abitato, la Ringstraße, circoscritta da eleganti edifici in stile neogotico, rinascimentale, barocco e neoclassico.
Mucha, insomma, approdò in una metropoli ricca di iniziative e di fermenti, e qui si divideva tra la faticosa attività lavorativa e gli svaghi e le frequentazioni concesse da una grande città; conobbe Hans Makart, e partecipò attivamente alla vita culturale intensa e vivace, animata dai musei, dalle sale da concerto e soprattutto dagli spettacoli che si rappresentavano nei diversi teatri esistenti, che visitò assiduamente disponendo di ingressi gratuiti e illimitati fornitigli dalla compagnia teatrale.
Mucha rimase a Vienna per ben due anni. Un tragico evento, tuttavia, pose fine al suo soggiorno viennese: un violento incendio divampato nel Ringtheater l’8 dicembre 1881, che uccise almeno 449 persone e devastò totalmente la struttura. In seguito a questa tragedia, la compagnia Kautsky-Brioschi-Burghardt si ritrovò a fronteggiare una profonda crisi, che portò Mucha ad esser licenziato per motivi di riorganizzazione aziendale.
Nel segno del conte Belasi
Disegno di Mucha realizzato da David Ossipovitch Widhopff nel 1897
Disilluso, Mucha, dopo esser rimasto per un breve periodo a Vienna, decise di affidarsi alla sorte, prendendo un treno alla stazione Franz Josef e inoltrandosi tanto lontano quanto i suoi risparmi gli avrebbero permesso. In questo modo approdò a Mikulov, cittadina morava dove si affermò come ritrattista. Qui lavorò alacremente e la qualità delle sue opere catturò l’attenzione del conte Karl Khuen-Belasi, che gli commissionò la decorazione dei suoi castelli a Emmahof, in Moravia, e nella città tirolese di Gandegg. Entusiasta della riuscita dell’impresa decorativa di Mucha, Belasi ne divenne un munifico mecenate, rivestendo un ruolo decisivo per la sua fortuna. La biblioteca del Conte, infatti, era sterminata, e fu qui che Mucha poté divorare libri su Delacroix, Doré, Daubigny e Meissonier; Belasi, inoltre, gli consentì di sviluppare le proprie inclinazioni artistiche, portandolo anche con sé in un viaggio di formazione in Italia.
Grazie all’autorevole influenza del Conte, nel settembre 1885 Mucha riuscì a entrare nell’Accademia delle belle arti di Monaco di Baviera, una delle più antiche e prestigiose di tutta la Germania. Il Mucha vi acquistò una grande cultura figurativa e incominciò ad acquisire personali orientamenti di gusto; altrettanto formativa fu la compagnia di alcuni colleghi universitari di nazionalità ceca che assieme a lui, seguendo la moda delle associazioni segrete, fondarono la «società Škréta», dalle finalità spiccatamente patriottiche. Fra le diverse opere d’arte realizzate nel periodo di Monaco, oltre ai disegni pubblicati nella Palette (la rivista dell’associazione), si segnala la pala d’altare raffigurante i Santi Cirillo e Metodio.
Un boemo a Parigi
Sentendosi ormai maturo dal punto di vista artistico, e grazie ai sostegni economici del conte Belasi, Mucha si trasferì insieme all’amico Karel Vítězslav Mašek a Parigi per proseguire gli studi accademici all’Académie Julian. Parigi, oltre ad essere una città artisticamente cosmopolita (proprio in quegli anni era in costruzione la torre Eiffel, simbolo di modernità e progresso), ospitava una comunità boema assai compatta, che Mucha frequentò assiduamente; tra gli amici francesi di Mucha vi furono anche Paul Gauguin, Camille Claudel e Louis-Joseph-Raphaël Collin, il suo insegnante all’Académie Colarossi (dove passò nell’autunno 1888), dal quale trasse l’amore per l’arte giapponese.
La sussistenza dell’artista era ancora legata agli aiuti finanziari del Conte, che tuttavia cessarono inaspettatamente sul principio del 1889. Mucha, all’epoca ventottenne, per guadagnarsi da vivere si trovò a lavorare come illustratore per diverse riviste pubblicitarie; in questo modo arrivò ad acquistare gradualmente fama nel mondo artistico francese. Tra i primi a riconoscere il suo talento vi fu Henri Boullerier, direttore del settimanale Le Petit Français Illustré, del quale Mucha diventò l’illustratore regolare. La collaborazione con Boullerier gli procacciò un’altra importante commissione, stavolta proveniente da Charles Seignobos, che gli diede il compito di raffigurare l’opera Scènes et épisodes de l’histoire d’Allemagne. Si trattava di un incarico assai scottante, in quanto il popolo tedesco era da sempre stato molto ostile nei confronti della civiltà ceca e slava; malgrado ciò, Mucha riuscì a vincere i propri sussulti d’indignazione, riconoscendo in questa commissione il primo, inestimabile riconoscimento della propria arte.
Con il consolidamento della propria fama, Mucha raggiunse anche un notevole benessere economico. I suoi primi risparmi vennero spesi nell’acquisto di un organo a pompa e di una fotocamera, che utilizzò per fotografare sé stesso, gli amici (Gauguin, che viveva nel suo stesso palazzo, venne ritratto varie volte) ed eventi degni di nota, come il funerale del presidente Marie François Sadi Carnot, assassinato nel 1894 da un anarchico italiano.
Gismonda
Fu una persona, in particolare, a cambiare radicalmente la vita di Mucha: si trattava dell’attrice Sarah Bernhardt, che effigiò nel 1894 in un poster pubblicitario per il dramma Gismonda di Victorien Sardou. La finezza del disegno convinse la «divina Sarah» a stipulare con Mucha un contratto della durata di sei anni (dal 1895 al 1900), durante i quali egli disegnò manifesti, scenografie teatrali, costumi e gioielli, lavorando occasionalmente anche come consulente artistico. Gismonda fu prontamente seguita da altri sei manifesti teatrali, da considerarsi parte di un ciclo compiuto: La Dame aux Camèlias (1896), Lorenzaccio (1896), La Samaritaine (1897), Médée (1898), Hamlet (1899) e Tosca (1899).
Il rapporto di cooperazione tra Mucha e la Bernhardt fu reciprocamente vantaggioso. Da una parte la «divina Sarah», grazie ai poster di Mucha, poté finalmente assurgere allo status di superstar, ben prima che questo termine venisse coniato dall’industria di Hollywood; dall’altra, Mucha – oltre a intrecciare con la Bernhardt un’amicizia che li legò per tutta la vita – poté accumulare prestigio sociale e crescere professionalmente. La grande fama ormai acquistata gli procurò nel 1896 anche un contratto con il litografo Ferdinand Champenois, grazie al quale conseguì una certa solidità economica che gli consentì di trasferirsi in un’elegante dimora di rue du Val-de-Grâce. La lungimirante strategia di promozione concertata da Champenois, tra l’altro, non tardò a procurare a Mucha nuovi e prestigiosi incarichi: a servirsi dei manifesti pubblicitari di Mucha furono industrie come Nestlé, Moët & Chandon, JOB, Ruinart, Perfecta e Waverley.
Nel 1898, inoltre, Mucha aderì alla massoneria, associazione che contava tra i suoi membri anche l’ex protettore Eduard Khuen-Belasi. Mucha si rivelò assai sensibile all’influsso massonico, che si percepisce in molte sue opere, e soprattutto nel Pater, un volume illustrato pubblicato a Parigi il 20 dicembre 1899. Frutto di un bisogno di elevazione e di slancio spirituale, il Pater raffigura le sette fasi della preghiera, intesa come transizione dal buio dell’ignoranza ad uno stato ideale di spiritualità. L’opera fu altamente lodata sia dal creatore, che la considerò una delle sue più grandi conquiste, sia dalla critica:
«Mucha tratta la preghiera in un modo che va oltre i concetti ai quali ci siamo abituati nell’iconografia cristiana. Dio non è più un vegliardo con la barba bianca, così com’è rappresentato dai nostri antenati: al contrario, è un essere grande e potente la cui ombra immensa permea ogni cosa»
(Abel Fabre)
Intanto, mentre lavorava al progetto del Pater, nella primavera del 1899 Mucha ricevette una commissione assai complessa dal governo austro-ungarico, che lo incaricò della decorazione del padiglione della Bosnia ed Erzegovina per l’imminente Exposition universelle. La Bosnia, territorio dove viveva una nutrita comunità slava, sebbene facesse parte dell’Impero Ottomano sin dal 1878 era de facto un territorio coloniale dell’Impero austro-ungarico; anche in quest’occasione Mucha dovette placare il proprio spirito patriottico e realizzare degli affreschi che gli valsero la medaglia d’argento all’Esposizione Universale, dove fu presente inoltre con disegni, opere di grafica ornamentale, bozzetti e monili studiati per Georges Fouquet. Fouquet era un rinomato orefice francese che affidò all’artista anche la decorazione interna ed esterna del proprio negozio di gioielli di rue Royale, a Parigi; ne risultò uno stravagante scrigno che, per il suo stile fresco, innovativo, quasi teatrale, è considerato una delle espressioni più significative dell’arredamento Art Nouveau.
Gli ultimi anni
Le venti tele dell’Epopea slava furono finalmente pronte nel 1928 e nello stesso anno furono donate alla città di Praga, così da celebrare il decimo anniversario della proclamazione della repubblica cecoslovacca. Il ciclo suscitò aspre polemiche da parte della critica, che – oltre a disprezzare lo stile delle opere, giudicato semplice accademismo fuori moda – accusò Mucha di essere portatore di un nazionalismo che non aveva più senso dopo l’indipendenza della Cecoslovacchia nel 1918.
Furono questi anni assai bui. Un senso di profonda inquietudine serpeggiava in Cecoslovacchia, minacciata dall’ascesa di Adolf Hitler al potere nel 1933, e dal diffondersi di un crescente sentimento filonazista nei Sudeti. Temendo lo scoppio di una nuova guerra, Mucha – ormai settantaseienne – si lanciò in un nuovo progetto: la creazione di un trittico raffigurante L’età della ragione, L’età dell’amore, L’età della saggezza, così da celebrare il senso di unità e di pace nel genere umano. Quest’opera, tuttavia, non vide mai la luce, a causa del declino fisico sempre più avanzante.
Quanto maggiormente temuto da Mucha, tuttavia, si avverò: il 15 marzo 1939 assisté infatti all’occupazione del territorio cecoslovacco da parte delle truppe naziste. A causa del suo ruggente spirito patriottico, Mucha fu prontamente arrestato dalla Gestapo e sottoposto a interrogatorio: non venne imprigionato, ma sia la sua salute che il suo spirito erano ormai a pezzi.
Alfons Mucha, infine, morì a Praga il 14 luglio 1939, stroncato da un’infezione polmonare; grandissimo il concorso di folla ai funerali, che terminarono con la deposizione della salma nel cimitero Vyšehrad, dov’è tuttora sepolto.